domenica 21 novembre 2021

L'indisponibilità della vita

 La notizia che il papa emerito Gregorio XVI ha espresso il desiderio di  raggiungere presto i suoi amici che lo hanno lasciato, non ha fatto molto rumore, ma è significativa.

Come lo è stato a sua tempo il rifiuto dell'accanimento terapeutico da parte di papa Giovanni Paolo II.

Ma per la dottrina cattolica l'indisponibilità della propria vita è ancora un dogma e il parlamento italiano per ragioni che ormai si stentano a capire è completamente prono a tale dottrina, che filosofia e persino teologia moderna tendono largamente a superare.

Non ogni progresso è necessariamente positivo, ma in questo caso parliamo di libertà dell'individuo e di responsabilità sociale, principi che oggi non dovrebbe essere difficile coniugare assieme.

Ho sempre pensato alla vita dono di Dio indisponibile come ad un concetto contraddittorio.

Ma se ti dono un piatto di minestra, la minestra è tua e dunque sarai libero di mangiarla subito, di metterla in frigo e mangiarla nel momento in cui hai fame o di buttarla via se, accidentalmente, te la dimenticassi in frigo e andasse a male. Se invece ti imponessi io quando mangiarla non sarebbe più un dono, ma un'imposizione.

"Il detestabile dono della vita" lo chiama Marilena Renda in Le madri.

E succede così; mio figlio che è solito passare ore e ore in camera sua nel periodo in cui è stato in isolamento fiduciario in attesa di tampone non riusciva quasi più a starci. La casa è dolce fintanto che non sei agli arresti domiciliari.

"La morte si sconta vivendo" scrive Ungaretti in "Sono una creatura" e  queste poche parole risplendono come una perla di tutta la letteratura di tutti i tempi.

Il villaggio senza nome ai piedi del monte Narayama in cui viveva la vecchia Orin del libro di Schichiro Fukazawa "Le canzoni di Narayama" è la rappresentazione di una società misera e crudele che non dovrà tornare mai più (speriamo!), ma la dignità della protagonista e la sua ansia di approdare alla morte prescritta è molto educativa.

La morte può essere un porto sicuro ed è giusto in quel caso consentirne l'approdo come in fondo dice anche Don Ettore Cannavera il cui intervento al congresso dell'Associazione Luca Coscioni consiglio a tutti di ascoltare.


domenica 14 novembre 2021

Tu

 

Tu Amico Mio

Tu che copiavi i compiti per casa dal mio quaderno, Tu che flirtavi con tutte le mie amiche, ma mi tenevi sempre ben lontano dalle ragazze che ti interessavano, Tu che ancora oggi se sei con certe persone fingi di non vedermi, Tu che sei stato ormai in tutto il mondo, senza mai vedere niente che non stia su una cartolina, senza mai assaggiare un cibo locale, senza mai imparare una parola della lingua del posto, Tu che ami riempirti di oggetti, mentre io cerco gli spazi vuoti, Tu che parli, parli e non dici niente e non capisci le mie nuove manie, come Tu chiami, la mia ricerca di ascesi. Tu che però mi cerchi sempre e mi dici cose gentili e chiedi e ascolti con attenzione i miei consigli anche se poi non li segui mai soprattutto per quanto riguarda le tue bulimie: l'alimentazione, il bere, il fumare, le relazioni sentimentali. Tu che non metti mai in dubbio la nostra amicizia anche se ormai forse è solo il passato a legarci. Tu lo so sarai sempre: amico mio.


Tu Madre Mia

Tu che hai sempre voluto il meglio per me, senza accorgerti che il meglio è spesso nemico del bene. Tu che ormai non capisci molte cose di questo mondo, ma me in verità non mi hai mai capito, ma spesso è stato meglio così. Tu che io dovrei ringraziare per avermi messo al mondo, forse dovrei proprio, ma anche no! Mamma!


Tu Figlio Mio

Tu che mi tratti come un vecchio rincoglionito e non ti prendi nemmeno la briga di contestarmi, mi ignori semplicemente e vieni a cercarmi solo quando hai bisogno di me, Tu che però lo vedo mi vuoi bene anche se, almeno al momento, non sei disposto a fare nulla per me. Tu che non sei e non sarai mai il futuro che io desideravo, ma spero nemmeno l'incubo che io ho saputo schivare, almeno in parte. Tu sei così lontano da me idealmente e forse lo sarai in breve anche fisicamente, ma sarai sempre ingombrante nel mio cuore, figlio mio.


Tu Amore Mio

Tu che ostacoli ogni mio tentativo di scambiare due parole con te, perché sei troppo stanca, perché non ne hai voglia, perché non è il momento, perché non hai tempo, perché hai altro per la testa o solo no, lasciami in pace, non parlarmi, stai zitto, taci, vattene. Tu che però se smetto di cercare di parlarti mi accusi di non comunicare, di distruggerti con i miei silenzi, di non considerarti. Tu che quando parli con me cerchi sempre la scusa per litigare per potermi insultare liberamente. Tu che mi conosci fin troppo bene e usi tutte le mie paure per torturarmi. Mi esponi ai miei incubi senza pietà e me ne fai nascere sempre di nuovi. Mi hai costretto in spazi angusti per godere della mia claustrofobia, portato in alto per rimirare le mie vertigini, spinto all'aperto per consolidare la mia agorafobia, messo in ammollo per far esplodere l'idrofobia. Mi togli tutto ciò che amo: cibi, bevande, oggetti, abitudini. Credo davvero che tu mi odi e che solo per questo resti con me, perché lo scopo della tua vita è diventato farmi soffrire. La mia sofferenza è ormai il tuo unico vero interesse e piacere. Per questo so che hai bisogno di me, per questo continuo a restare con te, amore mio.


Tu Che Mi Guardi Dallo Specchio

Tu che ogni mattina ed ogni sera mi guardi da dietro il vetro nello specchio del bagno e mi vedi invecchiare giorno dopo giorno con compiacimento ed angoscia. Tu che nascondi a te stesso i tuoi stessi pensieri perché ti ripugnano e ti terrorizzano. Tu che non mi sopporti più e forse non mi hai mai sopportato, ma di anno in anno hai accumulato nuove ragioni di odio per la mia inconcludenza, per le mie indecisioni, per le mie bassezze. Tu che dimentichi i miei successi, ma tieni sempre lì pronti da rimirare i miei peccati e rigurgiti tutte le mie sofferenze per farmele ruminare sempre. L'unica tua possibile salvezza è divenire cieco perché io non intendo andarmene, anche se forse in fondo lo desidero, lo desidero tanto.

domenica 7 novembre 2021

Mai più in bianco

 

Il giorno si avvicina, tra poco, con l'approvazione e l'entrata in vigore della legge Zan si cuccherà sempre. Come? Basterà seguire queste quattro semplici mosse.

Per prima cosa tu ragazzo a cui piace una ragazza (può capitare) ti dichiarerai donna o tu ragazza a cui piace un ragazzo (anche questo può capitare) ti dichiarerai uomo.

Seconda mossa: tu ragazzo che ti sei dichiarato donna farai outing rivelando di essere lesbica o tu ragazza che ti sei dichiarata uomo farai outing rivelando di essere gay.

A questo punto (terza mossa) tu ragazzo che ti sei dichiarato donna e poi lesbica farai la tua proposta diretta ed esplicita a lei o tu ragazza che ti sei dichiarata uomo e gay farai la tua proposta diretta ed esplicita a lui.

E qui scatta lo scacco al re (e questo vale sia per lei sia per lui perché gli scacchi sono un gioco palesemente anti-gender e discriminante, ma al momento nessuna legge è ancora intervenuta a porre riparo a tale indecenza, nonostante le possibilità di scacchi transgender siano molto interessanti) poiché se lei dice di sì a te ragazzo/donna/lesbica o lui dice di sì a te ragazza/uomo/gay la partita è vinta e buon divertimento, ma se dice di no la quarta mossa è fare immediata rimostranza conto l'atteggiamento discriminante anti-lesbo di lei verso di te ragazzo/donna/lesbica o anti gay di lui verso di te donna/uomo/gay. Così prima di incorrere nelle pene previste dalla legge Zan e finire in carcere, solo per non concedere una scopata, lei o lui caleranno le brache, letteralmente, e acconsentiranno alle tue advances e il salmo finisce in gloria, grazie a Zan (e qui ci starebbe uno stacchetto musicale doppiamente allusivo tipo zan zan).

In verità potrebbe insorgere una complicazione infatti se a te ragazzo che ti dichiari donna lei rispondesse dichiarandosi uomo o a te ragazza che ti dichiari uomo lui rispondesse dichiarandosi donna la seconda mossa risulterebbe controproducente, perché se lei ora è un lui tu uomo/donna dichiarandoti lesbica dovresti perder interesse per lei/lui o tu ragazza/uomo dichiarandoti uomo dovresti perdere interesse per lui che ora è una lei e non puoi neppure passare direttamente alla terza mossa giacché ciò renderebbe inapplicabile la quarta mossa, data che in un normale rapporto etero non c'è discriminazione gender (e questo vale sempre sia per te ragazzo/donna con lei/lui sia per te ragazza/uomo con lui/lei).

D'altra parte non accettare la percezione sessuale di lei che si dichiara lui o di lui che si dichiara lei esporrebbe te ragazzo/donna etero o te ragazza/uomo etero alle ire della legge Zan.

VaffanZan, anche stasera si va in bianco!

lunedì 1 novembre 2021

Ogni lasciata è persa

 

Nicodemo sedeva sul divano, con in mano il bicchiere di Malbech bevuto a metà. Ascoltava il crepitare della legna nel caminetto. Si guardò intorno e, a destra del caminetto, vide la foto di lui e Ciro a Mantova, gita di terza media. Ricordava bene quella foto, l'aveva scattata Cinzia, a cui Ciro aveva fatto il filo tutto il giorno, riuscendo a passare il viaggio di ritorno a pomiciare con lei in fondo alla corriera. Era stata la prima volta che Nicodemo aveva dovuto trovare un'alternativa a passare il tempo con Ciro a causa di una donna. La prima, ma non l'ultima.

Del resto non è che si vedessero poco all'epoca. Abitavano nello steso condominio e dato che i genitori di entrambi lavoravano fino a sera si ritrovavano ai pranzi dei giorni feriali per cucinare e mangiare assieme.

Poi alle superiore Ciro accompagnava tutte le mattine in moto Nico a prendere la corriera per Lonigo, dove Nico Studiava per divenire Perito Agrario, e tornava a recuperarlo alla sera, non proprio sempre, alla sera, cioè solo quando non era impegnato con qualche ragazza, cosa che nel corso degli anni accadeva sempre più frequentemente cosicché le passeggiate pomeridiane di Nico si moltiplicavano.

Ciro era figlio di un operaio del sud, collega del padre di Nicodemo in una fabbrica metalmeccanica. I nonni materni di Nicodemo vivevano poco lontano in mezzo alla campagna, nella fattoria di famiglia.

Il paese era piccolo, ma tra Ciro e Nicodemo non c'era un'amicizia casuale, i due erano molto diversi, ma in qualche misura complementari e dunque perfettamente compatibili e si supportavano molto bene essendo entrambi di natura tollerante e avendo capito velocemente la potenza della collaborazione. Faceva eccezione ovviamente il campo sentimentale, giacché Ciro lavorava da solo, mentre Nico non era interessato al tipo di ragazze e di relazioni che inseguiva l'amico.

Le doti fisiche di Ciro non erano particolarmente brillanti, né poteva dirsi bello, soprattutto a causa del volto angoloso, conscio di ciò e sostenuto da una grossa produzione di testosterone decise presto di puntare alle brutte.

Essendo per di più ragazzo di spirito la strategia risultò vincente, ma presto Ciro scoprì la gioia di soddisfare le ragazze e la sua diventò una vera e proprio missione, non tanto generosa, bensì molto soddisfacente per entrambe le parti. Con il tempo affinò la tecnica sia nei preamboli sia nella prestazione fisica, giungendo a standard prestazionali senza dubbio ragguardevoli.

Finita la scuola scelse, non a caso, ma sostenuto anche da un certo estro, la carriera di parrucchiere. Risultò subito bravo nel trattare con le clienti e anche la bottega in cui lavorava come apprendista e, in seguito la sua, divennero naturalmente terreno di conquista. In ogni caso, fosse anche stato un parrucchiere scontroso, la sua abilità sarebbe stata sufficiente al successo dell'attività.

Nico, di fronte alle conquiste di Ciro, spesso con ragazze dotate a scelta o addirittura in addizione di bruttezza esagerata, stupidità fastidiosa, noiosità sovra umana, logorrea acuta, isteria perniciosa, si limitava a dire “Ciro, Ciro”. Al che Ciro ribatteva con detti tipo. “el casso no ga oci”, “el buso xe sempre el buso”, “ogni lasciata è persa”, “fottitene dell'orgoglio”. Frasi che Ciro riservava unicamente all'amico fidato, perché delle sue conquiste Ciro non parlava mai con nessuno, né per vantarsene, né per parlare o sparlare delle ragazze. Faceva parte della sua etica, ma era anche una valida assicurazione per il proseguo della carriera di latin lover o come diceva Nico di roiti-lovers.

Da parte sua Ciro evitava di esprimere giudizi sulla vita sentimentale di Nico, a suo avviso del tutto inesistente: contento lui contenti tutti.

Nicodemo ottenuto il diploma alla scuola agraria si trasferì in campagna rilevando il podere dei nonni, che gli fecero compagnia per pochi anni. I rapporti tra i due amici si fecero saltuari, cosa del resto inevitabile, quando l'età adulta regala la contrazione del tempo libero fino al limite prossimo allo zero.

Per Nicodemo c'erano la fattoria - che convertì con successo anche commerciale al biologico e fornì di laboratorio di trasformazione - i quattro figli, la moglie - un valido aiuto, ma anche una compagna cui dedicare tempo di qualità - cosicché già per i nuovi amici del paese il tempo a disposizione era prossimo allo zero.

Per Ciro c'era l'atelier, come amava chiamare il suo negozio di parrucchiere e le donne, le donne e ancora le donne.

Gli anni passarono e Ciro resistendo a qualche profferta di rapporto stabile, continuò con costanza nella sua missione. Le sue doti amatoriali iniziarono a divenire argomento di conversazione femminile nell'intera provincia.

Iniziò quindi ad attrarre ragazze e poi donne sempre più piacenti e anche quelle veramente belle. Da cacciatore divenne preda. La cosa non gli dispiacque, l'approccio iniziale era più passivo, ma il risultato finale comunque garantito, in più ora il rispetto e l'invidia della comunità maschile del paese era alle stelle, anche se i mariti o compagni delle sue clienti divennero ostili e Ciro si fece il porto d'armi, comprò una pistola e iniziò a praticare il tiro a segno.

Ad un certo punto però cominciò a sentire il limite di questa attività amatoriale puramente fisica, ma il suo ruolo era quello e dato che le donne lo cercavano e lo volevano solo per provare piacere e non per instaurare relazioni affettive e tanto meno stabili, non era affatto agevole uscire da questo vortice di sesso facile con donne avvenenti.

Con pazienza però Ciro cominciò a sondare il terreno e a cercare l'amicizia femminile con la A maiuscola, liberandosi il più velocemente possibile, dopo averle beninteso soddisfatte, delle predatrici interessate all'uomo oggetto.

Finalmente intavolò una relazione stabile, in cui inizialmente credeva, ma non seppe riadattare la sua vita ad un rapporto di coppia che esigeva una flessibilità che chi è abituato alla solitudine fatica ad avere: rinunciare ad alcune delle proprie confortanti abitudini, assumerne di nuove per le quali non si prova alcun trasporto, imparare a considerare le esigenze, i tempi, i desideri dell'altro. Cose banali, ma estremamente difficili, giacché gli automatismi rendono la vita facile e perderli richiede di aumentare il proprio livello di coscienza ed è uno sforzo costante. Troppo per Ciro e la relazione non resse. La delusione fu cocente. Oltretutto, vuoi per quella parentesi di indisponibilità vuoi perché ormai le donne potenzialmente interessate a lui le aveva avute, Ciro si ritrovò, dopo moltissimi anni, addirittura non proprio a faticare a trovare compagnia occasionale, ma comunque a doverci mettere di nuovo l'impegno e a riabbassare il livello estetico o a rialzare il target di età.

Fu così che ripensò alla sua vita, gli tornò in mente il vecchio amico e decise di andare in campagna a trovare Nicodemo e la sua famiglia.

Ecco Ciro se ne era appena andato e Nicodemo, sorseggiando il suo vino, rifletteva guardando quella foto e faticava a inquadrare la situazione di oggi, ma si perdeva piuttosto nei ricordi del passato.

Parlando della sua inquietudine con il vecchio amico e vedendo la sua famiglia Ciro aveva capito e subito confessato a Nicodemo che avrebbe voluto trovare la madre per i figli che avrebbe desiderato finalmente avere, ma ormai temeva fosse tardi.

Nicodemo era fiero della sua famiglia: Letizia la primogenita insegnava greco e latino al liceo in città e lo aveva reso già nonno di due splendidi nipotini, Diego il secondo stava facendo carriera come biologo all'Univerisità di Oxford e stava per dargli il primo nipote cinese con la sua compagna taiwanese e già Nico stava pensando al suo primo viaggio in Inghilterra e alla strana esperienza di un nipote che avrebbe parlato inglese e cinese, ma probabilmente poco o nulla italiano, lingua che del resto neppure Nicodemo maneggiava molto non parlandola praticamente mai, visto che nel suo ambiente rurale gli bastava la sua lingua naturale, quella veneta, il terzo figlio di Nicodemo, Anacleto, era ancora in comunità terapeutica ma vederlo pulito e sereno era già una gioia per il padre e infine Sonia, che aveva da poco preso il diploma di perito agrario e già gli era subentrata nella conduzione dell'azienda agricola, sulla carta al momento, ma, era chiaro, ben presto anche di fatto, seppur certo e per fortuna l'aiuto del padre ancora prestante le avrebbe fatto comodo a lungo, anche perché nel frattempo Sonia proseguiva, seppur con calma, gli studi all'Università. La nota veramente dolente era la perdita di Enrica moglie madre e nonna in quel tragico incidente stradale, l'ultima volta che aveva visto Ciro in precedenza era stato proprio al suo funerale, un trauma ancora vivo e una mancanza che non si sarebbe mai riassorbita, ma sì Nicodemo non poteva nemmeno immaginarsi senza la sua famiglia. E poi c'era l'altra famiglia, la famiglia Constantin, ma questo è un confine arbitrario che pone solo il narratore. 

Florian e Nadine erano arrivati per lavorare in un'impresa meccanica, a quel tempo Nico, per racimolare un po' di soldi in più da investire nell'azienda, aveva messo in affitto una porzione del grosso fabbricato in cui un tempo vivevano le varie famiglie del clan che popolava la fattoria e ne costituiva la forza lavoro. La coppia di rumeni si era stabilita lì e presto aveva chiesto di potere coltivare un piccolo orto, poi Florian aveva iniziato a lavorare al bisogno per la fattoria dimostrandosi abile e affidabile e già esperto di lavori agricoli. Ad un certo punto Nico aveva potuto offrirgli un posto fisso nella fattoria che il ragazzo aveva volentieri accettato. Ora i due figli di Florian e Nadine, nati e cresciuti nella fattoria, erano diventati lei la referente del negozio in città e il fratello del laboratorio di trasformazione oltre che dei trasporti per rifornire proprio il punto vendita gestito dalla sorella. Oltre allo stipendio tutti avevano una partecipazione agli utili, e anche una loro quota nella proprietà del negozio. Ma soprattutto erano ormai legati da un vincolo che più che di amicizia era di parentela acquisita, e infatti Nicodemo stesso pensava a loro come parte della famiglia.

“Tu sei nonno e io solo ora mi accorgo di volere essere padre” aveva sospirato Ciro.

Nicodemo naturalmente aveva ribattuto a Ciro che di tempo ne aveva e che comunque se era destino sarebbe sicuramente successo. Del resto trovare una donna non era certo un problema per lui.

“Per una scopata la trovo subito, ma per fare un figlio o anche solo per un rapporto stabile non so da che parte girarmi” aveva ammesso l'amico parrucchiere, ma non si era aperto a raccontare del tentativo da poco concluso in modo fallimentare, forse solo per esorcizzare l'evento relegandolo nel silenzio.

Nicodemo aveva insistito sul destino, non era un gran che come tentativo di conforto, eppure Ciro gli era sembrato più sollevato dopo aver parlato con lui, ma forse più per essersi sfogato, che per le rassicurazioni e i consigli ricevuti. Del resto non era sempre stato così? Ciro era fondamentalmente un individualista, ma Nico ne era convinto poteva ancora cambiare o meglio ritornare ad essere quel compagno generoso che era stato con lui ai tempi della scuola. Intanto sperava che tornasse presto a trovarlo e naturalmente non da solo.

domenica 24 ottobre 2021

Arrestato il governatore Alken Tuniz

 Roma, 9 novembre 2021.

Oggi al termine dell'audizione alla commissione esteri del Senato, promossa dal presidente della stessa senatore Petrocelli, del governatore dello Xinjiang, rappresentante del Partito Comunista Cinese, lo uiguro  Alken Tuniz all'uscita da palazzo Madama è stato tratto in arresto dalla polizia di stato e condotto  prima in questura e poi al carcere di Rebibbia in attesa di essere trasferito in Olanda a Den Haag (Aia) ove ha sede la Corte di giustizia internazionale.

Il questore di Roma Mario Della Cioppa e la ministra Cartabia in una conferenza stampa congiunta hanno spiegato di essere in attesa dell'ordine di trasferimento dalla corte internazionale ove si sta formalizzando l'accusa di crimini contro l'umanità per l'internamento e la riduzione in schiavitù nei campi di prigionia dello Xinjiang di oltre un milione di cittadini uiguri, per le sterilizzazioni forzate delle donne della minoranza etnica e religiosa cinese e per altri reati correlati.

La Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ha dichiarato prudentemente di essere in attesa di maggiori informazioni sulla questione, ma che  l'Italia  è un paese democratico e autorevole che gode della massima fiducia a livello internazionale e sicuramente la sua azione risulterà pienamente legittima.

Pieno sostegno invece dal segretario di stato Statunitense Tony Blinken che parla già di responsabilità oggettive del leader cinese Xi Jinping che dovranno essere attentamente valutate dalla Corte.

La Repubblica Popolare Cinese ha subito richiamato a Pechino l'ambasciatore e minaccia ora la rottura delle relazioni diplomatiche con l'Italia e ha dichiarato che non tollererà da parte di chichessia ingerenze  nelle questioni interne cinesi.

Il presidente Patuanelli, dopo aver assistito impotente alle pesanti accuse rivolte dai membri della sua Commissione al governatore, sulla base di documenti precedentemente inviati all'autorità giudiziaria e che hanno determinato l'intervento di quest'ultima, si è reso irreperibile e lo stesso dicasi per il ministro degli esteri Di Maio.

Questa è la notizia che il 9 novembre, anniversario della caduta del muro di Berlino, non leggerete e l'audizione del gerarca comunista Tuniz alla commissione esteri del Senato si risolverà nella classica farsa in cui il carnefice parlerà dell'amore della patria cinese e del Partito per il suo popolo uiguro e delle misure educative e per il rilancio socio-economico della regione che la propaganda occidentale ha trasformato in maniera falsa e provocatoria in atti illeciti.

La notizia non ci sarà, ma a volte è bello sognare


domenica 10 ottobre 2021

Mirabile esempio di cattivo giornalismo.

 Nel numero del 6 ottobre di Panorama Mario Giordano intitola la sua rubrica "Il grillo parlante" con un perentorio "Nessuna deroga per la droga". 

Non cerca però di convincere i lettori delle sue ragioni, ma semplicemente prova a raggirarli. 

Inizia subito con "Il referendum per la legalizzazione è un po' in affanno? Il governo vara una proroga". Che il referendum sia in affanno è una menzogna clamorosa, il referendum ha battuto ogni record di celerità, certo grazie anche alle modalità digitali, e chi si sta mettendo di traverso è lo Stato, che non rispetta, tanto per cambiare le sue stesse regole, e disattende i tempi previsti e garantiti dalla legge per il passaggio burocratico che spetta ai comuni dell'allegare i certificati elettorali alle firme raccolte.  Ma Giordano prosegue "I tempi sono a rischio? Ci saranno due mese in più" Sta ripetendo la stessa falsità, ma dando l'impressione di aver già dato due motivazioni anziché una. Ripete anche lo squallido gioco di parole "canna montata" per dire "sa essere persino spietata" per chi chi contesta il diritto "di "proclamare la Santa Maria nuova protettrice d'Italia" e su questo torniamo dopo. 

Poi fa confusione dicendo che "i cantori dell'hashis libero ammettono le droghe ma non le deroghe", ma come, non era lui che non ammetteva le deroghe! E prosegue sul gioco di parole tra droghee  deroghe, ma con questo errore di partenza. Pezzo scritto con grande attenzione e professionalità: complimenti!

Poi taccia i sostenitori del referendum di non accettare il dialogo, di avere la verità in tasca e di ripetere solo ossessivamente che chi non vuole la droga libera appoggia le mafie, mentre Borsellino affermava il contrario. Ora con tutto il rispetto per Borsellino e detto che è chiaro che le mafie non si battono togliendo loro solo uno dei loro molti business è però assurdo pensare che le mafie a differenza di qualsiasi altra attività economica possano perdere uno dei rami più importanti del loro business senza indebolirsi, ma a Giordano non serve spiegare perché non è così, basta citare il nome di Borsellino. 

"Canna montata, critica vietata" è l'assioma successivo del grillo parlante. Invece ieri e oggi ho seguito, ampi tratti del Congresso dell'Associazione Luca Coscioni dove ho sentito molti ragionamenti e analisi in cui le ragioni degli avversari venivano discusse e dove del caso confutate apertamente con vero metodo democratico e aderenza ai fatti degna dei fautori della ricerca scientifica , a differenza di quanto fa Giordano che parla di "tutti" senza mai menzionarli  e senza mai riferire con onestà e correttezza i loro ragionamenti..

Poi Giordano si lancia in una requisitoria contro gli spinelli dati come acqua fresca ai ragazzini, ma chi mai ha affermato che i minorenni debbano essere liberi di consumare prodotti a base di cannabis? O che la cannabis non abbia nessun effetto negativo?

Se la prende poi con lo Stato che da una parte scrive il fumo fa male sui pacchetti e poi vende le sigarette e non contento di questa schifezza vuole estendere il metodo alla cannabis.

A parte che il referendum attuale vuole solo abolire il divieto di coltivazione, e per arrivare alla libera distribuzione e stabilire in quale forma c'è molto strada da fare, ma quale sarebbe la soluzione di Giordano per le sigarette far fare soldi ai privati o vietare anche quelle per regalare un altro commercio alle mafie?

Ancora Giordano: "Poi il voto. Tutto per dire che drogarsi è lecito, è buono, è giusto". Ancora una mistificazione colossale, meglio essere sempre contro le droghe male assoluto, salvo poi scoprire che anche i tuoi amici più fidati ne fanno uso, come appena capitato a Salvini o ammettere che è un consumo che non si riesce ad abolire e dunque cercare di regolamentarlo puntando alla limitazione del danno?

Il problema carcerario in Italia è enorme, ma metà dei detenuto è lì per reati connessi con l'uso delle sostanze stupefacenti, ha senso?

Aggiungo ancora una domanda: se l'unico rimedio contro le tanto temute droghe, che causano anche gli incidenti stradali, sono divieti e repressione, perché quella più dannosa in Italia, cioè l'alcol è invece permessa? La storia degli USA forse ha spiegato qualcosa e forse la libertà di bere una birra o un bicchiere di vino non è "cultura dello sballo", ma esercizio di un diritto individuale non privo di rischio ma non così grave da dover esser vietato. E l'alcol è una droga pesante.


E non parliamo della cannabis terapeutica, che è una vergogna diversa, ma che parte sempre dalla stessa demonizzazione di una sostanza in quanto droga.

Ribadisco: questo è un pessimo modo di fare giornalismo tutto ideologico e impermeabile al riscontro dei fatti.



 


giovedì 19 agosto 2021

Gli smemorati (Letta, Salvini, Meloni) e il nome da ricordare (Massoud)

I nostri politici hanno la memoria sempre più corta! Letta che condanna la guerra in Afganistan non ricorda più che a suo tempo il suo partito (seppur dopo acceso dibattito) aveva, giustamente,  approvato la missione, mentre per Salvini e Meloni la perdita di memoria è a più stretto giro perché hanno dimenticato che il loro idolo Trump è stato colui che ha deciso di abbandonare le donne e i bambini Afgani e favorire i terroristi contrattando la "pace" con i Talebani e Biden ha solo il torto di non aver voluto cambiare strada.

Il nome che forse molti non hanno dimenticato è quello di Ahmad Shah Massoud detto il leone del Panjshir mujahidin che ha combattuto prima contro il dittatore Afgano Daoud, poi contro l'Armata Rossa Sovietica e infine contro i Talebani, ucciso da Al-Quaida il 9 settembre 2001.

Oggi il figlio del mitico capo dell'Alleanza del Nord tiene l'ultima valle dell'Afganistan in cui i Talebani non sono riusciti a penetrare. Il suo piccolo esercito è stato e probabilmente e sperabilmente continuerà ancora ad essere rafforzato da ex soldati dell'esercito nazionale che Afgano decisi a non sottomettersi ai tagliagole islamici.

Ahmad Massoud (Jr.) ha lanciato un appello all'occidente a sostenere economicamente e con forniture militari il suo esercito per consentirgli di lottare contro l'asservimento del popolo Afgani al regime Talebano, se non si farà il suo sarà il prossimo nome di martire della libertà del mondo da ricordare insieme a tanti altri afgani e curdi..

Credo che il popolo Afgano e le donne in particolare abbiano bisogno di questa speranza e che l'occidente non debba piegarsi ad un facile riconoscimento di un regime che nelle periferie sta già dimostrando di non essere per nulla cambiato.

I nemici della democrazia Cina, Turchia, Russia stanno già prendendo posizione e su questo c'è solo la diplomazia che può lavorare.

Noi potremmo cominciare a togliere ai Talebani potere finanziario, è facile: basta legalizzare le droghe e spezzare così la loro attività di narco trafficanti.



mercoledì 17 febbraio 2021

La Catalogna vota di nuovo per l'indipendenza Prof. Dr. Axel Schönberger

 15 FEB 2021 — 

«Chi fa una fossa vi cadrà dentro; e chi rotola una pietra vi ritornerà sopra.» (Proverbi 26, 27).

Tre parti sono responsabili delle massicce violazioni del diritto organico dello Stato spagnolo e dei diritti umani del popolo catalano che lo Stato spagnolo ha commesso, specialmente da ottobre 2017:

1. Il Partido Popular (PP), attraverso le cui politiche catalanofobiche di lunga data la nazione catalana è stata provocata a tal punto che il movimento indipendentista catalano, originariamente piccolo, è diventato capace di ottenere la maggioranza. Nel 1976, sette partiti — sei dei quali guidati da ex ministri del criminale assassino di massa e dittatore Francisco Franco — si erano uniti per formare l'Alianza Popular. Questo partito riuniva le vecchie élite del regime franchista del terrore. Nel 1989, l'Alianza Popular si ribattezzò Partido Popular («Partito Popolare»). Gli enormi scandali di corruzione degli ultimi anni, soprattutto l'affare Guertel, gettano una luce eloquente su questo partito e sui suoi funzionari.

2. Il Partido Socialista Obrero Español (PSOE), un partito apparentemente «socialdemocratico» i cui membri principali sono stati coinvolti in una serie di scandali di corruzione, ha subito un'enorme perdita di reputazione a livello mondiale, soprattutto a causa del coinvolgimento di membri di spicco di questo partito e del Ministero dell'Interno che guidava all'epoca nelle attività criminali degli squadroni della morte illegali «Grupos Antiterroristas de Liberación» (GAL). Nonostante tutte le differenze politiche, i partiti PP e PSOE sono riusciti per decenni a spartirsi uffici e sinecure. Nel loro disprezzo per i diritti del popolo catalano, così come per la lingua e la cultura catalana, si differenziavano tuttavia almeno nel grado, così che il PSOE appariva generalmente ai catalani come il male minore rispetto al PP.

3. Il partito «Ciudadanos — Partido de la Ciudadanía» è emerso nel 2006 in Catalogna, dove una significativa minoranza spagnola si era insediata fin dagli anni '60 come risultato delle misure corrispondenti adottate dal governo franchista. La sua raison d'être originaria è un veemente anticatalanismo; si riconosce che mira a respingere la lingua e la cultura catalana e a sostituirla in gran parte con lo spagnolo. Dal 2015, il partito, che sta alla destra del Partido Popular e in alcune posizioni appare di estrema destra, è attivo in tutta la Spagna.

Nell'ottobre 2017, questi tre partiti hanno violato il diritto organico dello stato spagnolo abusando dell'articolo 155 della costituzione spagnola per dichiarare deposto il governo catalano democraticamente legittimato, sciogliere il parlamento catalano democraticamente eletto e indire nuove elezioni in Catalogna senza che la costituzione spagnola fornisse una base giuridica per questo. Come risultato, i politici catalani che si sono candidati ad alte cariche nel governo catalano sono stati perseguitati da una magistratura evidentemente politicizzata, impediti di esercitare i mandati parlamentari, rimossi illegalmente dall'incarico e diffamati pubblicamente. Al popolo catalano è stato chiaramente dimostrato che la Spagna lo considera una «colonia eterna» e gli nega illegalmente il diritto umano all'autodeterminazione, anche usando la violenza.

Dopo che un tribunale spagnolo ha rimosso l'ultimo presidente catalano, Quim Torra, dal suo incarico in modo chiaramente illegale — la Corte di giustizia europea di Strasburgo avrà probabilmente l'ultima parola — e nuove elezioni si sono quindi rese necessarie, il PSOE ha fatto in modo che queste non fossero rinviate al 30 maggio 2021 a causa della pandemia, come volevano gli altri partiti, ma che si tenessero il 14 febbraio 2021. I «socialdemocratici» spagnoli speravano che questo avrebbe portato a una bassa affluenza alle urne — è stata infatti solo del 53,54% — e successivamente a una chiara vittoria elettorale, dato che hanno mandato il popolare ministro della salute del governo centrale spagnolo, il catalano Salvador Illa, come loro candidato nella campagna elettorale catalana.

Come è noto, solo i vitelli più stupidi scelgono il proprio macellaio. I catalani non sono stupidi. I tre partiti responsabili del «colpo di stato dall'alto» del 2017 e delle più grandi violazioni dei diritti umani viste in Europa occidentale da decenni hanno ottenuto il seguente numero di seggi nel parlamento catalano per il loro obiettivo politico comune di impedire la separazione della Catalogna dalla Spagna:

Partido Socialista Obrero Español: 33 (2017: 17 seggi)
Ciudadanos: 6 (2017: 36 seggi)
Partido Popular: 3 (2017: 4 seggi)

Questo porta il loro totale a soli 42 seggi (da 57).

Il partito di estrema destra Vox, uno spin-off del Partito Popolare, è arrivato da una partenza da fermo a 11 seggi. Se il partito, che è neofascista in alcune parti, viene contato come parte del blocco dei tre partiti del colpo di stato dell'ottobre 2017, questo risulta teoricamente in 53 seggi. I politici di spicco di Vox, tuttavia, sono fermamente convinti che i politici di spicco del PSOE, compreso il loro candidato di punta catalano Salvador Illa, appartengono alla prigione proprio come i prigionieri politici catalani, motivo per cui Salvador Illa rifiuta categoricamente qualsiasi cooperazione del suo partito con gli estremisti di destra del partito Vox.

Il numero totale di seggi parlamentari è 135, la maggioranza assoluta parte da 68 seggi.

I tre partiti che sono decisamente a favore dell'indipendenza statale della Catalogna sono rappresentati nel parlamento catalano come segue:

Esquerra Republicana: 33 seggi (2017: 32 seggi).
Junts per Catalunya: 32 seggi (2017: 34 seggi)
CUP: 9 seggi (2017: 4 seggi).

Un altro partito catalano che, almeno in passato, ha sostenuto che i catalani dovrebbero essere autorizzati a votare sulla questione della loro indipendenza statale in un secondo referendum pattato con lo stato spagnolo, ma ora sembra principalmente interessato a condividere il potere e a lavorare con il PSOE, è Comú-Podem:

Comú-Podem: 8 (2017: 8 seggi).

Ciò significa che una coalizione ‘di sinistra’ tra i partiti Esquerra Republicana, PSOE e Comú-Podem sarebbe teoricamente possibile, ma è molto improbabile, dato che la stragrande maggioranza degli elettori di Esquerra Republicana difficilmente perdonerebbero al suo partito di fare un patto con un partito del «articolo 155», ed Esquerra Republicana, come altri partiti, aveva già escluso in anticipo una coalizione con i socialdemocratici. La CUP, d'altra parte, sarebbe stata disposta ad appoggiare nuovamente un governo di minoranza di partiti Esquerra Republicana e Junts per Catalunya solo se avesse dichiarato chiaramente il suo appoggio all'indipendenza della Catalogna e non avesse più rifuggito da un confronto deciso con lo Stato spagnolo. In ogni caso, i partiti politici a favore dell'indipendenza statale della Catalogna sono rappresentati con più seggi nel nuovo parlamento catalano di prima. L'indipendenza catalana è stata nuovamente desiderata dalla maggioranza degli elettori in queste elezioni, nonostante la tremenda repressione dello stato spagnolo, con un chiaro spostamento verso la CUP, che cerca di sfidare lo stato spagnolo, che rifiuta il dialogo.

C'è da aspettarsi che lo stato spagnolo reagisca a questo risultato elettorale con ulteriori misure repressive e violazioni dei diritti umani. Tuttavia, la Spagna potrà solo ritardare l'indipendenza della Catalogna, non fermarla. Non importa quanto duramente si cerchi di arginare un fiume potente per sempre, un giorno si romperà inesorabilmente la sua strada. Di questo dovrà rendersi conto anche l'Unione Europea, che ancora non si vergogna dei prigionieri politici in Spagna, anche se il ministro degli Esteri russo Sergei Viktorovich Lavrov, in accordo con gli organi competenti delle Nazioni Unite, ha correttamente indicato tre dei prigionieri politici detenuti illegalmente dalla Spagna davanti agli occhi e alle orecchie del mondo intero. L'atteggiamento dell'Unione Europea nei confronti delle massicce violazioni dei diritti umani da parte dello stato spagnolo può essere paragonato all'errata opinione di molti politici del XX secolo che consideravano le persecuzioni degli ebrei in Germania e dei catalani, baschi e galiziani in Spagna — grandi crimini contro l'umanità — come affari interni dei due stati fascisti.

domenica 7 febbraio 2021

IL PRINCIPE DRAGHI

Qualcuno di recente invocava  il metodo romano di nominare un dittatore in caso di guerra e forse anche Conte la vedeva in quel modo. Dobbiamo però riconoscere che la transizione dalla repubblica parlamentare alla dittatura è in Italia già in corso da tempo. 

A parte la latitanza di una informazione libera, prima il Parlamento ha ceduto il suo potere al Governo con i ripetuti voti di fiducia, i decreti legislativi non coerenti per materia e non urgenti, i DPCM, poi il Governo stesso ha alzato bandiera bianca e ha rimesso il potere al Capo dello Stato, che ha deciso in totale autonomia, come un sovrano assoluto, il Premer da imporre al paese e la maggioranza che deve sostenerlo.

Insomma ha nominato il Principe Draghi. E le forze politiche si stanno dimostrando pronte ad avvallare l'investitura.

Al di là che Draghi è un uomo pericoloso, per la sua storia di "finanziere", è per un paese allo sbando - che si ostina da anni a non volere cambiare (né con un autentico federalismo interno né con la cessione di maggior sovranità all'Europa), ma persiste solo a redistribuire la ricchezza tra gli amici e gli amici degli amici- è Draghi un male necessario nella misura in cui costringerà ad un uso proprio del Next Generation UE.

Personalmente mi auguro che sia FdI sia LeU non entrino nel Governo né lo sostengano dall'esterno, ma restino all'opposizione. Penso infatti che l'opposizione sia una ricchezza, una componente essenziale della democrazia o nel nostro caso di ciò che ne resta.

IL FALLIMENTO DI BORREL

 Ascoltando stamattina su Radio Radicale la rassegna stampa "Stampa e regime" sento del deludente esito della missione diplomatica dell'Alto Commissario dell'UE a Mosca. "Non ha avuto la forza di porre sul tavolo la questione dei diritti umani" dice Marco Cappato, conduttore della trasmissione.

Mi viene da ridere, al solito, per non piangere! Ma come può un anti-democratico, corresponsabile e sostenitore della repressione catalana, che calpesta brutalmente i diritti dell'uomo e il diritto internazionale opporre la questione dei diritti umani a qualsivoglia interlocutore, anche uno palesemente in torto come Putin? 

Eppure la necessità di essere credibile per l'Europa è vitale per il mondo: dalla Cina (Uiguri, Tibetani, Falun gong, Hong-Kong) alla Turchia (curdi, accademie, giornalisti, avvocati, musicisti) all'Iran (oppositori e diritti civili di ogni tipo) all'Egitto (Regeni e Zaki), al Mnyamar ricaduto sotto la dittatura militare le voci della democrazia che possono ancora dire e fare qualcosa sono poche oltre all'UE USA, UK  e pochi altri attori probabilmente troppo piccoli.

L'Europa reale deve uscire dalla gabbia degli accordi intergovernativi e del governo del Consiglio recuperare lo spirito di Ventotene dando potere alla Commissione sotto il controllo del Parlamento per una vera democrazia europea preludio agli Stati Uniti d'Europa e al successivo punto di arrivo della Confederazione Cantonale Europea. 

http://debolisegnali.altervista.org/Manifesto_eu7dot0.html



venerdì 5 febbraio 2021

LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI

Decrescita Felice Social Network (decrescita.com), di cui all'epoca ero redattore, pubblicava il 5 giugno 2013 il mio articolo dal titolo di cui sopra che riporto qui di seguito:
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Lavorare meno, lavorare tutti è un vecchio slogan sindacale. L’obbiettivo della settimana lavorativa di 35 ore non è più in agenda, ma l’idea è tornata di grande attualità con i contratti di solidarietà che riducendo l’orario di lavoro individuale permettono di abbassare le produzioni procrastinando nel tempo misure quali cassa integrazione e mobilità.

Il 28 maggio scorso nell’ambito del 4 Congresso Nazionale della Federazione Energia Moda Chimica e Affini della CISL ad Assisi, cui ho partecipato in qualità di delegato, ho fatto nel corso dei lavori del comparto moda il seguente intervento:

“Permettetemi di iniziare il mio intervento leggendovi una poesia di Eugenio Montale:

 Forse un mattino andando in un’aria di vetro,

arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:

il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro

di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come su uno schermo, s’accamperanno di gitto

alberi case colli per l’inganno consueto.

Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto

tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

 Ho voluto leggervi questa poesia perché esprime bene il mio personale sconcerto. Lo sconcerto che ho provato in questi ultimi anni nel capire che le rappresentazioni economiche del mondo che avevo studiato e che quasi tutti ancora continuano a proporci sono fuorvianti.

Questo sistema economico, questo modello di sviluppo ha raggiunto il limite della sua crescita: pena la distruzione del pianeta. E’ dunque necessario cambiare i nostri consumi sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi e di conseguenza cambiare il modello produttivo.

E’ particolarmente difficile declinare ciò nel comparto moda, ma ignorare l’ineluttabilità del cambiamento può avere conseguenze drammatiche.

Non voglio farla troppo lunga: vi invito a leggere Pasolini, Illich, Latouche.

Da quest’ultimo pensatore prendo una proposta importante: scambiare gli incrementi di produttività con la diminuzione del tempo individuale di lavoro e l’aumento dei posti di lavoro.

Aggiungo che la nostra organizzazione ha le capacità per farsi promotrice di iniziative quali casse di mutuo soccorso, banche del tempo, monete complementari. Cominciamo a pensarci”.

Nel dibattito, ahimé, molti hanno ancora parlato di sviluppo sostenibile, di ripresa economica, di una vaga problematica ambientale. Qualcuno però ha anche affermato che non si può parlare di crisi, bensì di svolta epocale e che il ritorno alla situazione ex-ante non è pensabile o che la compatibilità ambientale deve divenire un prerequisito cogente in ogni scelta di cosa e come produrre nei nostri settori industriali.

L’idea di lavorare meno poi è stata non solo ripresa nel dibattito, ma anche riproposta sotto diverse angolature da altri interventi. Manca ancora la coscienza dell’importanza del passaggio non solo in termini solidaristici, ma come passo verso una nuova organizzazione sociale, che vada finalmente verso la grande promessa mancata dell’era delle macchine di dare più tempo alle persone sgravando il tempo di lavoro senza ridurre il benessere.

Sappiamo che questa promessa è stata invece inghiottita dalla follia consumistica della crescita per darci un benessere effimero e soprattutto non sostenibile.

Il cammino da fare per arrivare a dare gambe, anche nel sindacato, a un percorso virtuoso è ancora lungo, ma alcune idee si stanno facendo strada e ogni passo nella direzione giusta è il benvenuto.

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Mi sembra ancora valido, anche se sempre più nuove tecnologie promettono di poterci aiutare e così si parla oggi più di green economy che di decrescita, ma le oligarchie tecnologiche che affollano oggi il cyberspazio - e grazie alla ricchezza lì prodotta comandano di fatto anche il mondo reale - e l'affermarsi del capitalismo di Stato cinese rendono il pericolo dell'avvento di un eco-fascismo non più una tetra profezia bensì un processo ormai in atto.

Urge per lo meno rendersene conto per poi capire, più in fretta possibile, che fare.

giovedì 4 febbraio 2021

REsponsabilità - REnzi - REalismo

 Ancora oggi, con Draghi presidente del Consiglio incaricato, molti continuano con il mantra "irresponsabile aprire questa crisi". Basta! Irresponsabile era lasciare in mano a Conte, Bonafede, Azzolina & Co la gestione del Next Generation UE, come già chiaramente si vedeva dai documenti in corso d'opera.

Oltretutto bisogna anche ammettere che Renzi non è il vero motore della crisi, ma lo è Bonafede (ministro della giustizia apertamente schierato contro le misure alternative alla detenzione, che ha mentito spudoratamente sul sovraffollamento, che ha cancellato la prescrizione nel mentre che la lunghezza dei processi è ulteriormente in allungamento, che non sta per nulla gestendo la pandemia nelle carceri) la cui relazione non solo per Italia Viva, ma anche per buona parte del PD e di LEU era del tutto inaccettabile.

Ora con realismo annotiamo che la formazione di un governo Draghi è tutt'altro che semplice, che Draghi anche se ha opportunamente parlato di coesione sociale e di forze sociali è comunque legato al mondo della finanza internazionale e che come contro parte ha questo parlamento italiano la cui qualità è quella che è (ma il prossimo parlamento ridotto sarà ancora peggio, anche perché appunto ridotto e perché allo stato dei fatti verrà ancora deciso dalle segreterie dei partiti).


sabato 30 gennaio 2021

L'autodeterminazione come principio chiave dell'ordine internazionale Prof. Dr. Alfred de Zayas

 L'autodeterminazione come principio chiave dell'ordine internazionale

Prof. Dr. Alfred de Zayas

Il progressivo sviluppo del diritto internazionale risponde alle esigenze economiche, sociali e politiche. Le nuove convenzioni e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza hanno un impatto sul diritto internazionale, così come la prassi attuale degli Stati, che genera precedenti, faits accomplis che si evolvono in legge, Stati di fatto che si separano dagli altri Stati e funzionano all'interno della comunità internazionale come entità statali, anche se non godono di riconoscimento internazionale — ex factis oritur ius.

Mentre la Carta dell'ONU serve come una sorta di Costituzione mondiale e l'articolo 103 è inequivocabile nello stabilire che la Carta prevale su tutti gli altri trattati, la narrazione politica non sempre è conforme a questa legalità e c'è un certo grado di «frammentazione» nel diritto internazionale, che gli Stati invocano in modo egoistico per applicare il diritto internazionale in modo selettivo, violando i principi generali del diritto — non per caso, ma deliberatamente e con calcolo, solo per vedere se riescono a farla franca. Qualsiasi osservatore confermerà che l'applicazione del diritto internazionale à la carte era comune nel passato, come lo è nel presente. In assenza di efficaci meccanismi di applicazione, gli Stati continueranno a violare il diritto internazionale nella più totale impunità, anche in materia dello ius cogens come la violazione del divieto dell'uso della forza di cui all'articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite.

Nel diritto internazionale del XXI secolo, il diritto all'autodeterminazione gioca e continuerà a giocare un ruolo cruciale. È un principio chiave di un ordine internazionale pacifico, democratico ed equo.

Il mio rapporto del 2014 all'Assemblea Generale [1] è dedicato interamente alla proposta che la realizzazione del diritto all'autodeterminazione è una strategia vitale per la prevenzione dei conflitti. Il rapporto dimostra che innumerevoli guerre dal 1945 in poi hanno trovato la loro origine nell'ingiusta negazione dell'autodeterminazione, e sostiene che le Nazioni Unite avrebbero dovuto esercitare le loro responsabilità ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite e adottare misure preventive per evitare lo scoppio di ostilità che hanno messo in pericolo la pace locale, regionale e internazionale. Conformemente all'obiettivo generale dell'ONU di raggiungere una pace sostenibile, l'ONU potrebbe e dovrebbe offrire i suoi buoni uffici per facilitare il dialogo e, se del caso, organizzare referenda di autodeterminazione. Il fatto che i referenda di autodeterminazione in Etiopia/Eritrea, Timor Est e Sudan siano stati organizzati solo dopo l'uccisione di decine di migliaia di esseri umani ha avuto un impatto negativo sulle Nazioni Unite, e sulla comunità internazionale in generale.

I detentori dei diritti dell'autodeterminazione sono tutti i popoli. L'articolo 1, paragrafo 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici e del Patto sui diritti economici, sociali e culturali, stabilisce che «tutti i popoli hanno il diritto all'autodeterminazione». Né il testo né i travaux preparatoires limitano la portata dei «popoli» a coloro che vivono sotto il dominio coloniale o comunque sotto l'occupazione. Ai sensi dell'articolo 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, «Tutti i popoli» significa proprio questo — e non può essere arbitrariamente limitato. Certo, il concetto di «popoli» non è mai stato definito in modo definitivo, nonostante il suo frequente utilizzo nelle sedi delle Nazioni Unite. I partecipanti a una riunione di esperti dell'UNESCO sull'autodeterminazione nel 1998 hanno approvato quella che è stata chiamata la «definizione di Kirby», riconoscendo come «popolo» un gruppo di persone con una tradizione storica comune, un'identità razziale o etnica, un'omogeneità culturale, un'unità linguistica, un'affinità religiosa o ideologica, un legame territoriale o una vita economica comune. A questo va aggiunto un elemento soggettivo: la volontà di essere identificati come popolo e la coscienza di essere un popolo. Un popolo deve essere numericamente più grande di una semplice «mera associazione di individui all'interno dello Stato». La loro pretesa diventa più convincente se hanno creato istituzioni o altri mezzi per esprimere le loro caratteristiche e identità comuni. In un linguaggio semplice, il concetto di «popoli» abbraccia minoranze etniche, linguistiche e religiose, oltre a gruppi identificabili che vivono sotto la dominazione aliena o sotto l'occupazione militare, e gruppi indigeni che sono privati dell'autonomia o della sovranità sulle loro risorse naturali.

Ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 3, comune ai Patti, i portatori del diritto all'autodeterminazione sono tutti gli Stati parti dei Patti, ai quali non è semplicemente proibito interferire con l'esercizio del diritto, ma «devono promuovere» la sua realizzazione in modo proattivo. In altre parole, gli Stati non possono scegliere secondo i loro capricci e non hanno la prerogativa di concedere o negare pretese di autodeterminazione ad libitum. Essi devono non solo rispettare il diritto, ma anche attuarlo. Inoltre, nel diritto internazionale moderno, l'autodeterminazione è un impegno erga omnes sancito da numerosi articoli della Carta dell'ONU e da innumerevoli risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell'Assemblea generale. Il conferimento ai popoli del potere di godere dei diritti umani senza discriminazioni e di esercitare un certo grado di autogoverno è cruciale per la stabilità nazionale e internazionale. In caso contrario, permane un significativo potenziale di conflitto.

Anche se l'autodeterminazione è emersa come un ius cogens, superiore a molti altri principi del diritto internazionale, compresa l'integrità territoriale, non si autoesegue. Ci sono stati molti legittimi rivendicatori del diritto all'autodeterminazione che hanno visto il loro diritto negato impunemente dalle potenze occupanti, in particolare i curdi, i sahrawi, i palestinesi, i kashmiri. Altri in possesso di tutti gli elementi del diritto, compresi gli Igbo del Biafra e i Tamil dello Sri Lanka, hanno combattuto valorosamente per la loro cultura e identità e hanno subito il disaffezionamento e persino il genocidio. Altri, come i bangladesi, sono riusciti a ottenere l'indipendenza dal Pakistan, ma hanno dovuto combattere una guerra quasi genocida nel 1971, con stime di morti civili che vanno dai 300.000 ai tre milioni di esseri umani.

Negli ultimi decenni, alcuni popoli hanno raggiunto l'autodeterminazione attraverso l'effettiva separazione dalle entità statali alle quali erano stati finora associati, ma il loro status internazionale rimane inchoato a causa dei battibecchi politici tra le grandi potenze e della conseguente mancanza di riconoscimento internazionale, tra cui le entità russo-ucraine di Lugansk e Donetsk, la Repubblica di Pridnestronia (Transnistria-Moldavia), la Repubblica di Artsakh (Nagorno Karabagh), l'Abkhazia e l'Ossezia meridionale. Un altro caso riguarda la separazione della Crimea dall'Ucraina in virtù di un referendum e di una dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Parlamento della Crimea. Sebbene questa espressione di autodeterminazione con esplicito riferimento al precedente del Kosovo non abbia ricevuto il riconoscimento internazionale, all'indipendenza di Crimea ha fatto seguito un altro atto di autodeterminazione — la sua richiesta formale di riunificazione con la Russia, che è stata concessa dalla Duma russa il 20 marzo 2014 e ritenuta costituzionale dalla Corte costituzionale russa. Con o senza riconoscimento internazionale, il popolo di Crimea è oggi cittadino russo. e non è concepibile che la Crimea sia mai separata dalla Russia, se non attraverso una grande guerra internazionale, uno scenario altamente improbabile.

Che piaccia o meno ad alcuni leader politici nel mondo, gli Stati di fatto possono affermare e affermano la legittimità democratica, poiché le loro popolazioni hanno agito nel perseguimento del diritto all'autodeterminazione, e hanno diritto alla piena protezione del regime del trattato internazionale sui diritti umani. Una soluzione all'impasse può avvenire solo attraverso negoziati pacifici, poiché l'uso della forza armata contro l'autodeterminazione violerebbe numerosi trattati internazionali, tra cui la Carta delle Nazioni Unite, i patti sui diritti umani e le Convenzioni della Croce Rossa di Ginevra. Sarebbe l'ultima irrazione. È importante sottolineare che non ci sono «buchi neri legali» quando si tratta di diritti umani, e che il regime dei trattati sui diritti umani prevale nelle zone di conflitto e le popolazioni di tutti gli Stati de facto godono di protezione secondo il diritto internazionale consuetudinario dei diritti umani.

Diversa è la situazione della Repubblica Turca di Cipro del Nord, perché questo Stato di fatto è emerso da un'invasione illegale dell'isola di Cipro da parte della Turchia nel 1974, in violazione della Carta delle Nazioni Unite e delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, accompagnata da crimini di guerra e crimini contro l'umanità, tra cui l'espulsione della popolazione autoctona greco-cipriota, seguita dall'insediamento illegale dell'Anatolia-Turchia, che ovviamente non è un «popolo» avente diritto a rivendicare il diritto all'autodeterminazione a Cipro.

Un elenco molto incompleto di popoli che hanno espresso aspirazioni di autodeterminazione e di riconoscimento internazionale comprende i tibetani, i catalani, i corsi, gli austriaci del Tirolo meridionale, i veneto-italiani, i triestini, gli anglofoni camerunensi, molti gruppi minoritari dell'Africa postcoloniale, i mapuches del Cile e dell'Argentina, i popoli di Rapa Nui, Papua occidentale, i moluchi, Aceh-Sumatrans, ecc.

Le Nazioni Unite potrebbero dare un notevole contributo alla pace duratura e alla prevenzione dei conflitti convocando una conferenza internazionale per rivedere la situazione degli Stati di fatto, al fine di regolarizzare il loro status, in modo che le loro popolazioni non rimangano indefinitamente in un limbo. In effetti, dobbiamo a queste popolazioni il potere di accedere a tutti i benefici che derivano dall'essere membri della famiglia dell'ONU. Ricordiamo che per molti decenni le due Coree sono state al di fuori del sistema dell'Onu, perché una coalizione di potere avrebbe bloccato un candidato, mentre l'altra coalizione avrebbe bloccato l'altra. L'impasse è stata superata nel 1991, quando entrambi i Paesi sono stati accolti contemporaneamente all'ONU ai sensi della risoluzione 702 del Consiglio di sicurezza. Allo stesso modo, né il Vietnam del Nord né il Vietnam del Sud avevano mai raggiunto l'adesione all'Onu. Ciò è avvenuto solo dopo la riunificazione del Vietnam del Nord e del Sud e le risoluzioni formali dell'Onu del 1977.

Criteri per invocare pacificamente e democraticamente l'autodeterminazione

Il mio rapporto del 2014 all'Assemblea generale formula una serie di criteri che dovrebbero essere presi in considerazione quando si affrontano questioni di autodeterminazione. Tenendo presente che la comunità internazionale dovrà affrontare, prima o poi, l'aspirazione di così tanti popoli all'autodeterminazione, è opportuno rivedere alcune delle norme che dovrebbero essere applicate.

Ogni processo di autodeterminazione dovrebbe essere accompagnato dalla partecipazione e dal consenso dei popoli interessati. È possibile raggiungere soluzioni che garantiscano l'autodeterminazione all'interno di un'entità statale esistente, come l'autonomia, il federalismo e l'autogoverno. Se c'è una forte richiesta di separazione, tuttavia, è molto importante evitare l'uso della forza, che metterebbe in pericolo la stabilità locale, regionale e internazionale ed eroderebbe ulteriormente il godimento di altri diritti umani. Pertanto, sono necessari negoziati in buona fede e la disponibilità al compromesso; in alcuni casi, questi potrebbero essere coordinati attraverso i buoni uffici del Segretario Generale o sotto l'egida del Consiglio di Sicurezza o dell'Assemblea Generale.

Per affrontare le molteplici e complesse questioni legate al raggiungimento dell'autodeterminazione, è necessario valutare caso per caso una serie di fattori. In questo contesto, sarebbe utile che l'Assemblea Generale chiedesse alla Corte Internazionale di Giustizia di emettere pareri consultivi sulle seguenti questioni:

— Quali sono i criteri che determinerebbero l'esercizio dell'autodeterminazione attraverso una maggiore autonomia o indipendenza?

— Quale ruolo dovrebbero svolgere le Nazioni Unite nel facilitare la transizione pacifica da un'entità statale a più entità statali, o da più entità statali ad un'unica entità?

Il diritto all'autodeterminazione non si estingue con il passare del tempo perché, così come il diritto alla vita, alla libertà e all'identità, è troppo importante per potervi rinunciare. Non è valido affermare che il «popolo» abbia validamente esercitato l'autodeterminazione 50 o 100 anni fa. Ciò significherebbe che una generazione potrebbe privare le generazioni future di un diritto di ius cogens. L'autodeterminazione deve essere vissuta ogni giorno.

Tutte le manifestazioni dell'autodeterminazione sono sul tavolo: dalla piena garanzia dei diritti culturali, linguistici e religiosi, ai vari modelli di autonomia, allo status speciale in uno Stato federale, alla secessione e alla piena indipendenza, all'unificazione di due entità statali, alla cooperazione transfrontaliera e regionale.

L'attuazione dell'autodeterminazione non rientra esclusivamente nella giurisdizione nazionale dello Stato interessato, ma è una preoccupazione legittima della comunità internazionale.

Né il diritto all'autodeterminazione né il principio di integrità territoriale sono assoluti. Entrambi devono essere applicati nel contesto della Carta e dei trattati sui diritti umani, in modo da servire gli scopi e i principi delle Nazioni Unite.

Il principio dell'integrità territoriale deve essere inteso come nell'articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite e come in innumerevoli risoluzioni dell'ONU, tra cui la 2625 sulle relazioni amichevoli e la 3314 sulla definizione del reato di aggressione. Il principio dell'integrità territoriale è un elemento importante dell'ordine internazionale, in quanto assicura continuità e stabilità. Ma è un principio di applicazione esterna, nel senso che lo Stato A non può invadere l'integrità territoriale dello Stato B. Il principio non è destinato all'applicazione interna, perché ciò annullerebbe automaticamente il diritto di autodeterminazione dello ius cogens. Ogni singolo esercizio del diritto di autodeterminazione che si traduce in secessione ha comportato un adeguamento all'integrità territoriale dell'entità statale precedente. Ci sono troppi precedenti per poterli contare.

È incontestabile che il diritto internazionale non è un concetto statico e che continua ad evolversi attraverso la pratica e i precedenti. L'indipendenza delle ex repubbliche sovietiche e la secessione dei popoli dell'ex Jugoslavia hanno creato importanti precedenti per l'attuazione dell'autodeterminazione. Questi precedenti non possono essere ignorati quando sorgono le moderne controversie sull'autodeterminazione. Non è possibile dire sì all'autodeterminazione di Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, ma poi dire no all'autodeterminazione dei popoli di Abkhazia, Ossezia meridionale o Nagorno Karabagh. Tutti questi popoli hanno gli stessi diritti umani e non devono essere discriminati. Come nel caso dei rivendicanti di successo, anche questi popoli hanno dichiarato unilateralmente l'indipendenza. Non c'è alcuna giustificazione che neghi loro il riconoscimento applicando l'autodeterminazione in modo selettivo e facendo frivole distinzioni che non hanno alcun fondamento giuridico o giudiziario.

Senza dubbio, il principio dell'integrità territoriale è stato significativamente indebolito quando la comunità internazionale ha accettato la distruzione dell'integrità territoriale dell'Unione Sovietica riconoscendo la dichiarazione unilaterale di indipendenza delle sue parti, così come le dichiarazioni unilaterali delle repubbliche jugoslave. L'aspetto più significativo è che nel 1999 i paesi della NATO hanno sferrato un attacco frontale all'integrità territoriale della Repubblica Federale di Jugoslavia, quando questa ha bombardato la Jugoslavia senza alcuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU ai sensi del capitolo VII. Questa massiccia violazione del diritto internazionale è rimasta impunita fino ad oggi. Ma una chiara conseguenza di quella guerra è stato il tacito consenso all'abbandono del sacrosanto principio di integrità territoriale.

In ogni caso, il principio di integrità territoriale non può essere usato come pretesto per minare la responsabilità dello Stato di proteggere i diritti umani dei popoli sotto la sua giurisdizione. Il pieno godimento dei diritti umani da parte di tutte le persone che si trovano sotto la giurisdizione di uno Stato e il mantenimento della coesistenza pacifica tra gli Stati sono gli obiettivi principali da raggiungere. Le garanzie di uguaglianza e di non discriminazione sono necessarie per la stabilità interna degli Stati, ma la non discriminazione da sola può non essere sufficiente a tenere insieme i popoli quando non vogliono vivere insieme. Il principio dell'integrità territoriale non è una giustificazione sufficiente per perpetuare situazioni di conflitto interno che possono infestarsi e scoppiare in una guerra civile, minacciando così la pace e la sicurezza regionale e internazionale.

Un modello coerente di gravi e comprovate violazioni dei diritti umani contro una popolazione nega la legittimità dell'esercizio del potere governativo. In caso di disordini, il dialogo deve essere avviato prima di tutto nella speranza di porre rimedio alle lamentele. Gli Stati non possono prima provocare la popolazione commettendo gravi violazioni dei diritti umani e poi invocare il diritto di «autodifesa» per giustificare l'uso della forza contro di loro. Ciò violerebbe il principio dell'‘estoppel’ (ex iniuria non oritur ius), un principio generale del diritto riconosciuto dalla Corte internazionale di giustizia. Sebbene ai sensi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite tutti gli Stati hanno il diritto di autodifesa contro gli attacchi armati, essi hanno anche la responsabilità di proteggere la vita e la sicurezza di tutte le persone sotto la loro giurisdizione. Nessuna dottrina, certamente non quella dell'integrità territoriale, può giustificare i massacri o derogare al diritto alla vita.

Anche se la «teoria riparatrice» dell'autodeterminazione può avere qualche attrattiva, soprattutto se si considera il desiderio universale di giustizia e il rifiuto generale dell'impunità per gravi violazioni dei diritti umani, è difficile applicare «l'autodeterminazione riparatrice», perché non esiste un metro di misura oggettivo e nessuno ha definito dove si trova la soglia di violazione al di sotto della quale l'autodeterminazione non sarebbe prevista e al di sopra della quale richiederebbe la separazione come punizione. È molto più pratico vedere l'autodeterminazione come un diritto umano fondamentale, non dipendente dalle azioni sbagliate di nessuno. È un diritto a sé stante. Tutti i popoli ne hanno diritto perché sono popoli con la propria cultura, identità, tradizioni — non perché qualcuno ha commesso un crimine o ha comunque violato il diritto internazionale. Il diritto si attacca ai popoli per la loro stessa ontologia. Allo stesso modo, la dottrina della «responsabilità di proteggere» non aiuta la nostra analisi, perché l'R2P è altamente soggettivo e può essere facilmente abusato, come ha ampiamente dimostrato il dibattito nell'Assemblea Generale del 23 luglio 1999.[3]

La secessione presuppone la capacità di un territorio di emergere come membro funzionante della comunità internazionale. In questo contesto, i quattro criteri di statualità della Convenzione di Montevideo sui diritti e i doveri degli Stati (1933) sono rilevanti: una popolazione permanente, un territorio definito, il governo e la capacità di entrare in relazione con altri Stati. Sono rilevanti anche le dimensioni della popolazione interessata e la vitalità economica del territorio. Una forma di governo democratico che rispetti i diritti umani e lo stato di diritto rafforza il diritto. Il riconoscimento di una nuova entità statale da parte di altri Stati è auspicabile, ma ha un effetto dichiarativo, non costitutivo.

Quando un'entità statale multietnica e/o multireligiosa viene disgregata, e le nuove entità statali che ne risultano sono anch'esse multietniche o multireligiose e continuano a soffrire di vecchie animosità e violenze, lo stesso principio di secessione può essere applicato. Se un pezzo del tutto può essere separato dal tutto, allora anche un pezzo del pezzo può essere separato secondo le stesse regole di diritto e di logica. L'obiettivo principale è quello di arrivare a un ordine mondiale in cui gli Stati osservino internamente i diritti umani e lo stato di diritto e vivano in rapporti pacifici con gli altri Stati.

L'aspirazione dei popoli ad esercitare pienamente il diritto all'autodeterminazione non si è conclusa con la decolonizzazione. Ci sono molti popoli indigeni, popoli non autogovernanti e popolazioni che vivono sotto l'occupazione che ancora lottano per l'autodeterminazione. Le loro aspirazioni devono essere prese sul serio per il bene della prevenzione dei conflitti. Il mondo post-coloniale ha lasciato un'eredità di frontiere che non corrispondono a criteri etnici, culturali, religiosi o linguistici. Si tratta di una continua fonte di tensione che può richiedere un adeguamento in conformità all'articolo 2, paragrafo 3, della Carta. La dottrina dell'uti possidetis è obsoleta e il suo mantenimento nel ventunesimo secolo senza possibilità di aggiustamenti pacifici può perpetuare violazioni dei diritti umani. In ogni caso, l'uti possidetis è chiaramente incompatibile con l'autodeterminazione, e qualsiasi trattato che pretendesse di mantenerla contro l'autodeterminazione sarebbe nullo ai sensi dell'articolo 64 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.[4]

Ai sensi della Carta delle Nazioni Unite, le Nazioni Unite hanno un ruolo cruciale da svolgere, e gli Stati dovrebbero fare appello al Segretario Generale affinché prenda l'iniziativa e contribuisca alla preparazione di modelli di autonomia, federalismo e, eventualmente, di referendum. Un metodo affidabile per determinare l'opinione pubblica ed evitare il consenso artificiale deve essere concepito in modo da garantire l'autenticità dell'espressione della volontà pubblica in assenza di minacce o di uso della forza. Si deve dare il giusto peso ai legami storici di lunga data con un territorio o una regione, ai legami religiosi con i luoghi sacri, alla coscienza del patrimonio delle generazioni precedenti, nonché all'identificazione soggettiva con un territorio. Gli accordi con persone non debitamente autorizzate a rappresentare le popolazioni interessate e gli accordi con rappresentanti fantoccio sono a maggior ragione non validi. In assenza di un processo di negoziazione in buona fede o di plebisciti, c'è il pericolo di una rivolta armata.

Per garantire una pace interna ed esterna sostenibile nel ventunesimo secolo, la comunità internazionale deve reagire ai segnali di allarme rapido e stabilire meccanismi di prevenzione dei conflitti. Facilitare il dialogo tra i popoli e organizzare tempestivamente i referendum sono strumenti per garantire l'evoluzione pacifica delle relazioni nazionali e internazionali. L'inclusione di tutte le parti interessate deve essere la regola, non l'eccezione.

In conclusione, celebriamo l'attuazione dell'autodeterminazione dei popoli come espressione di democrazia, in quanto la democrazia è una forma di autodeterminazione!

Prof. Dr. Alfred de Zayas
(Ex esperto indipendente dell'ONU per la promozione di un ordine internazionale democratico ed equo, Ginevra, Svizzera febbraio 2018