domenica 29 gennaio 2012

PRIMITIVI (QUALCHE MILLENIO DOPO)


I piccoli si muovevano lentamente dentro l'ologramma marino contemplando con vivo interesse i mille particolari di quel mondo singolare e affascinante. Intanto la voce della sinto-guida iniziava la lezione del giorno:
- Abbiamo visto nei giorni scorsi come i mammiferi marini si nutrano dei pesci e come questi si mangino tra di loro e di altri organismi marini viventi, così come succede tra gli insetti che ben conosciamo giacché condividono con noi il nostro habitat terrestre. Fino a pochi secoli fa però le orche davano la caccia e si nutrivano anche di delfini e balene.
Un fremito passò tra gli scolari e da più voci si alzò la domanda: ma perché?
Subito la sinto-guida chiarì:
- La base dell'alimentazione delle orche è sempre stata costituita dal pesce, ma in alcuni momenti della loro vita per esigenze metaboliche particolari era per loro utile avere dei componenti alimentari in grandi concentrazione e l'unica fonte che avevano a disposizione per questo scopo erano gli altri mammiferi marini. Bisogna capire che a quel tempo le orche non avevano ancora chiaro la loro stretta parentela con tutti gli altri mammiferi. Appena questa coscienza è stata ben chiara anche alle orche esse hanno accettato l'installazione nel mare di distributori alimentari da cui attingere a quell'integrazione specifica senza fare del mare ai fratelli mammiferi.
La sinto-guida verificò il livello d'ansia dei piccoli e quindi proseguì:
- In effetti in un lontano passato le cose erano molto diverse anche per noi
La sinto-guida si compiacque per quel noi che aveva sì un senso educativo, ma la gratificava non solo anettendola implicitamente alla categoria dei viventi, ma rendendola parte della storia della vita degli esseri biologici che accudiva. Fece dissolvere l'ologramma marino e lo sostituì con un antico filmato di una savana africana.
- Anche i mammiferi terrestri si mangiavano tra di loro.
Per un attimo non vi fu nessuna reazione, la notizia era troppo inverosimile per essere accettata immediatamente. Poi d'improvviso Gluz si voltò verso i suoi compagni e ruggì:
- Vi mangio tutti
Plik si pietrificò, mentre Czesch alzò un sopracciglio e ridacchiò:
- Devi solo provarci
La sinto-guida rimase stupita nel vedere come gli antichi istinti fossero ancora così presenti in alcuni cuccioli.
La domanda di Ruof spezzò la situazione e il leoncino, la gazzella e l'uomo si sorrisero l'un l'altro.
La sinto-guida rispose alla domanda del piccolo scimpanzé:
- Non usavano i dispensatori di cibo semplicemente perché non esistevano. Gli impianti di produzione batterica degli alimenti che riforniscono i dispensatori di cibo sono frutto della tecnologia umana e sono stati diffusi fino a diventare sufficienti alla nutrizione di tutti i mammiferi carnivori ed erbivori solo all'inizio del secondo secolo dell'epoca delle macchine. Il cibo batterico è organoletticamente e nutritivamente superiore agli alimenti naturali di ciascuna specie e soprattutto è completamente sicuro dal punto di vista sanitario e sempre freschissimo.
- Perchè i mammiferi marini continuano a nutrirsi di pesci?
- Perchè cibarsi è per loro il gioco più bello e vogliono restare vicini alla loro natura e preferiscono non dipendere dalle macchine per loro sopravvivenza.
- Noi dipendiamo dalle macchine?
- Non del tutto, nel senso che se le macchine dovessero smettere di funzionare, potreste tornare a vivere come un tempo, certo sarebbe uno sconvolgimento enormi, ma state tranquilli: le macchine si autoriparano da migliaia di anni, e non c'è nessuna ragione per cui le cose debbano cambiare. Avete fame?
- Sì risposero in coro!
- E allora via di corsa ai distributori!

domenica 22 gennaio 2012

UNA LETTERA


Egr. Sig. Sindaco,

Chiarissimo Dottore, mi dicono che Lei sia laureato e sebbene io non abbia mai visti l'attestato e neppure la Sua professione lo richiederebbe e qualche mala lingua che voglia negarlo si troverebbe sicuramente, anche se in verità non l'ho mai sentito dire, ma nonostante tutto io ci credo e pertanto la chiamo con il titolo consono, vengo a scriverle questa breve e succinta epistola per esporle sommariamente certi fatti, circostanze e accadimenti la cui valutazione lascio a Lei e alla Sua competenza e saggezza. Devo però metterla in guardia riguardo alle conseguenze che vorrà trarne. Pur trattandosi infatti di questioni ed eventi eminentemente personali il loro impatto sulla nostra comunità, e non solo, potrebbe essere dirompente. Per questo mi sono deciso a renderli pubblici, tramite un'istituzione dotata di idonea responsabilità. In verità ne avevo già scritto al questore, al prefetto,al presidente della Provincia e al Vescovo, ma non al parroco, in quanto ho il sospetto che proprio lui abbia interferito convincendo il Vescovo a non intervenire e a nascondere invece ogni cosa. Che il presidente della Provincia sia amico del Vescovo è cosa risaputa e pertanto non mi meraviglio che neppure lui abbia voluto rispondermi. Non so dire del prefetto e del questore anche se alcuni indizi mi indurrebbero a pensare che non abbiano mai ricevute le missive loro indirizzate e non per caso, ma per un preciso disegno criminoso messo in atto dalle Poste. Che poi un parroco si metta così insensatamente contro ad un suo parrocchiano è davvero disdicevole, benché io non frequenti la chiesa, del resto non ne ho bisogno poiché parlo personalmente con l'anima di Padre Pio che intercede per me e tiene misericordiosamente la mia persona sempre ben presente a Dio e grazie a Lui sono ancora vivo. E comunque già da molti anni mi sono convertito allo Shintoismo, ma non ricordo esattamente quando ne vorrei parlarne in questo momento. La Sua recente elezione a Sindaco mi ha infuso una nuova speranza di ascolto qualificato e consapevole. E' per la verità singolare che nelle due precedenti tornate elettorali, nelle quali avevo diligentemente partecipato al voto non si fosse raggiunta la soglia minima dei votanti, mente questa volta, in cui per circostanze che chiarirò in seguito, non ho potuto recarmi alle urne, Lei sia stato eletto. Ma voglio rassicurarla che se avessi potuto partecipare al voto, lo avrei fatto votando proprio per Lei. Del resto trattandosi di lista unica non avrei potuto comportarmi diversamente a meno di non annullare la scheda o lasciarla in bianco, cose però che non ho fatto mai in vita mia e che Dio me ne scampi. Forse non le sarà sfuggito dal mittente apposto sulla busta o dalla firma in calce che il mio cognome è uguale a quello della famiglia che abita di fronte alla mia in una casa di loro proprietà. Ebbene non siamo parenti. Alle 14.44 del giorno 14 del 4 di qualche anno fa, alla 4° finestra del 2° piano di quella casa venne esposta per 40 minuti una tovaglia di colore blu rosso e bianco. Questi colori non sono casuali.
Come Lei certo saprà sono i colori della bandiera Russa. Ma forse Lei non sa che: la badante della vecchia è ucraina, che il defunto marito della vecchia pur essendo stato avanguardista non aveva poi aderito alla Repubblica di Salò, che il pronipote dei 2 summenzionati cresciuto a Parma è ora in comunità terapeutica essendo eroinomane, ma soprattutto in quello stesso giorno una corriera polacca si è fermata in paese per l'intero pomeriggio.
E che dire delle tensioni tra Giappone e Russia attorno alle isole Kurili?
Lei comprenderà come il sorriso ironico con cui sempre mi saluta Giovanni Stiz, da sempre bolscevico, mi inquieta ora oltremodo. E farai volentieri a meno di vedere lo stesso sorriso con cui mi saluta l'impiegata delle Poste, soprattutto dopo il sabotaggio delle mie missive, ma devo pur ritirare la pensione. Capirà anche ora perché, essendo stato nominato Giovanni Stiz come scrutatore, non ho potuto, per non destare sospetti, recarmi a votare per Lei.
Mi aiuti Lei. Io credo che i Russi stiano per stabilire una testa di ponte proprio nel nostro paese per poi conquistare l'intera nazione, l'Europa e forse il mondo.
Dall'alto della mia cultura, che non è poca, non tanto perché io abbia studiato, sebbene la licenza superiore io l'abbia conseguita nel tempo prescritto e senza mai andare a settembre, quanto per la quantità enciclopedica di libri che ho letto molti dei quali imparandoli a memoria anche se ora i titoli non li ricordo, ma ditemi i titoli e il resto viene da sé. Le dico dunque che forse tutto ciò le sembrerà strano, ma mi creda, è solo questione di tempo. La ringrazio per l'attenzione e attendo con ansia una sua cortese risposta ed il suo impegno per un intervento che possa portare a risolvere la situazione.

Ometto la firma per motivi di sicurezza personale, tanto il mio nome lo trova sulla busta come mittente di questa lettera.

domenica 15 gennaio 2012

PICCOLI IMPREVISTI


Nacqui, vissi, morii. Come tutti. Della mia vita non merita parlarne. Singolare fu invece la mia morte.
La morte è sempre un brutto momento. C’è una sofferenza fisica, per l’interrompersi delle funzioni biologiche, c’è l’angoscia della mente per la consapevolezza di ciò che accade. C’è infine uno smarrimento della coscienza, ma poi inizia la percezione.
La mia morte non è stata particolarmente brutta. Certamente improvvisa, inaspettata e casuale.
La colpa di tutto è dei controllori di volo di Fiumicino. Loro con il loro sciopero impedirono il ritorno in ditta del direttore generale, TZ, in tempo per l’importante riunione sui nuovi assetti societari, già calendarizzata da tre settimane.
La cancellazione della riunione permise a RC di ritornare a casa del tutto inaspettato.
RC saltellò tutto soddisfatto su per le scale , aprì la porta di casa. Che strano rumore. Dei colpi sordi e qualcos’altro. RC richiuse silenziosamente la porta.
Il rumore continuava. Seguì silenziosamente il suono. Veniva dal soggiorno. Colpi e ansimi. Chi ansimava nel suo soggiorno? Ad RC girava già la testa. Aprì la porta e la vertigine divenne totale.
La sua bambina era distesa nuda sul divano e gemeva di piacere mentre un orribile scimmione si agitava sopra di lei. Rimase qualche istante impietrito ad osservare la scena.
P, la figlia quattordicenne di RC, aveva le spalle appoggiate sul bracciolo e il capo abbandonato all’indietro. Fu così che roteando gli occhi vide suo padre. L’urlo che le uscì di bocca fu uno strano miscuglio di paura e eccitazione.
S. il ragazzone, invero discretamente peloso, ma sicuramente affatto scimmiesco, captò solo la parte gaudente dell’urlo dell’amica e con grande slanciò assestò gli ultimi colpi. Contemporanamente alzò il capo e vide il volto avvampato del padre di P che si avvicinava.
Ne scaturì un coitus interruptus pirotecnico. RC vide distintamente lo schizzo irrorare il corpo di sua figlia e dirigersi ineluttabilmente anche verso di lui. Non lo vide posarsi sul suo vestito, ma lo sentì chiaramente posarsi sul suo viso.
Si bloccò inorridito e cercò di pulirsi con la manica, ottenendo il solo il risultato di spalmarsi sul viso anche le gocce di sperma che vi si erano posate.
Questi brevi istante consentirono a S di agguantare i pantaloni e di guardarsi intorno alla ricerca di una via di fuga. Con la mano trovò le chiavi della moto e intanto correva verso la porta finestra del terrazzo.
Il padre ringhiando furiosamente e urlando “lo ammazzo”, partì all’inseguimento. S scagliando i calzoni addosso a R guadagnò quella frazione di secondo che gli consentirono di aprire la porta e raggiungere la ringhiera che scavalcò con tutta l’agilità dei suoi diciassette anni, con le chiavi della moto in bocca. Aggrappandosi con le mani alle stecche verticali della ringhiera si lasciò scivolare e quindi dopo aver oscillato per un istante nel vuoto, si lasciò cadere di sotto.
Un salto di un metro e mezzo, sul cemento a piedi nudi, deve essere decisamente doloroso e S faticò a restare in piedi nonostante tutto il suo vigore e la sua prestanza fisica.
R nel frattempo stava con tutt’altra agilità compiendo lo stesso scavalcamento. P tenendo la maglietta con una mano contro il petto, aveva raggiunto il padre sul terrazzo e gli urlava “lascialo stare”.
Il padre gli intimò: “torna dentro tu”. Per tutta risposta P gettò per terra la maglietta e alzate le braccia al cielo iniziò a strillare.
La tattica per fermare il padre era perfetta, ma l’uomo non riuscendo più a reggersi alla ringhiera, cadde suo malgrado di sotto.
Mentre RC nonostante le tremende botte patite nell’impatto con il suolo si rialzava, S che aveva faticosamente raggiunto la sua vespa, sgommò via.
Vuoi per la paura, vuoi per il dolore alle piante dei piedi, l’uscita in strada di S fu tutt’altro che accorta. La macchina che giungeva in senso opposto fu costretta a gettarsi sul marciapiede per evitare lo scontro frontale.
La corsa sul marciapiede fu invero molto breve perché l’auto centrò quasi subito un’idrante.
L’autista AZ, che indossava la cintura di sicurezza non si fece niente, ma il passeggero FG, che non aveva allacciato la cintura di sicurezza picchiò il capo contro il parabrezza procurandosi un taglio piuttosto lungo e profondo.
20 minuti più tardi al pronto soccorso, mentre FG veniva ricucito, AZ rispondeva al cellulare dell’amico. L’ansiosa madre di FG perse immediatamente la testa e senza badare alle rassicurazioni di AZ scese in cortile, montò in macchina e nella fretta mise mezza macchina in strada.
Io sentii il rumore e vidi la macchina che mi veniva addosso. Girai il torace verso la macchina e così, quando questa mi investì rompendomi la gamba destra, caddi dalla bicicletta sulla schiena, battendo la nuca sull’asfalto.
Un lampo mi percorse il cervello. Poi sentii un dolore nuovo arrivare da ogni cellula del mio corpo, che abbandonata a sé stessa si dibatteva nella morte. Quindi le sensazioni del corpo svanirono e iniziò la coscienza.
La coscienza della vita oltre la morte biologica. Ero morto ed ero vivo. Cominciai a percepire.
Il mio corpo, abbandonato e senza vita. Percepii le persone attorno a me. Il medico dell’ambulanza che constatava la mia morte. La madre di FG disperata per avermi ucciso e ancora terrorizzata per l’incidente del figlio.
Il figlio, potevo percepire anche lui, al pronto soccorso. Che cosa straordinaria.
Dopo la morte non c’è più vista, né udito, né tatto, ma c’è una percezione molto più profonda e completa delle cose e delle persone, dei loro pensieri e sentimenti e non ci sono più i limiti fisici, né spazio né tempo. Totale libertà.
Ritrovai tutte le persone che la morte aveva preso prima di me. Ritrovai i miei cari biologicamente vivi e li capii come mai li avevo capiti prima.
I vivi oltre la morte hanno molti modi di comunicare con i biologicamente vivi, ma i modi percepibili da questi ultimi sono poco utili per entrambi. Ciò nonostante ho voluto comunicare con voi, ispirando scrittore, che non saprà mai se tutto ciò è un parto della sua fantasia o è davvero l’ispirazione di uno spirito. L’aldilà è qui in mezzo a voi.
Una cosa non vi ho ancora detto. Dopo la morte i vivi incontrano Dio.
Di lui però non è possibile parlare con le vostre parole. Posso dire solo questo: è meglio, molto meglio di come potete immaginare di immaginarlo.

domenica 8 gennaio 2012

QUATTRO CHIACCHIERE


La cesoia si chiuse e la punta di un ramo con 3 foglie cadde nel bidone. Mentre procedeva lungo la siepe TS44326 continuava a chiacchierare con PE74653.
- Tu sai benissimo, che ciascuna particella elementare che compone l’universo non è altro che un’increspatura del campo di fondo e il campo stesso ha origine dalla singolarità del big bang, che a sua volta è una semplice fluttuazione del vuoto.
- Sì certo, questo è giusto
- Dunque se tutto deriva chiaramente e logicamente dal vuoto, che è puro nulla e del nulla si è detto tutto nominandolo, di che altro abbiamo bisogno.
- La tua è una descrizione perfetta, ma non è una spiegazione. Perché il vuoto fluttua verso l’esistente? e perché l’esistente è così com’è? perché la singolarità è il big bang e non un evento che non genera un campo? e perché il campo si increspa proprio nelle particelle che compongono il nostro universo e danno origine ad aggregati della complessità che conosciamo? Di tutto ciò non spieghi nulla.
- Ne è possibile farlo.
PE74653 raccolse un pezzo di cartone da terra e lo inserì nel trituratore del vano per il riciclo cellulosici.
- Questo è il punto non si può dare un senso, un perché, uno scopo, alla fluttuazione del vuoto, all’esistenza del campo e alla sua natura, se non introducendo il concetto di Dio.
- Ma perché deve avere un senso e uno scopo?
- Perché tutto ha un senso, tanto da poter astrarre delle leggi dalla fisica alla biologia alla psicologia. Noi che siamo un’infima parte del cosmo abbiamo un fine in ogni azione e il tutto non dovrebbe averlo?
TS44326 scorse una grossa colonia di acari su un albero e liberò su di loro alcune coppie di coleotteri predatori.
- Ma il fine deriva dall'intelligenza che è prodotto finale del gradino più evoluto, i gradini più di base sono inferiori nella scala evolutiva, potenzialmente più versatili, ma di per sé più limitati. Perché vuoi ribaltare la fine sulla base iniziale? E poi è lo schema della mente a definire fini, esistono fini se non esiste una mente? Ma prima che si formasse la prima mente raziocinante quasi tutto esisteva già!
- Ribalto l’intelligenza dal vertice dell’evoluzione alla sua origine perché la complessità del cosmo è eccessiva perché tutto sia una costruzione casuale e poi le leggi matematiche prescindono i fenomeni e sono, a livello di astrazioni preesistenti alle leggi fisiche che permettono di rappresentare i fenomeni materiali. Vi è molta intelligenza in esse, e queste astrazioni, in quanto tali, precedono forse anche il big bang.
L’impianto automatico di irrigazione scattò d’improvviso bagnando leggermente la coppia di amici che proseguì ad avanzare senza dare alcun peso alla cosa, mentre una coppia di giovani intenti allo jogging li superò di slancio.
- Qui diventi idealista, e l’idealismo è un altro schematismo tipico della nostra mente, ma non per questo ha un valore assoluto ne è una realtà intrinseca.
- Ma anche il tuo ragionamento è costruito sugli schematismi della mente, e questi schematismi sono tanto funzionanti da aver consentito l’evoluzione stessa dell’intelligenza fino all’esperienza scientifica stessa, su cui tu basi tutte le tue argomentazioni.
- Ok, ammettiamo che Dio possa esser e un’ipotesi, ma solo idealisticamente, poiché ti ostini a ragionare in questi termini, ma anche restando in questa logica, come giustifichi una causa prima incausata se tutto è poi regolato dalla legge di causa-effetto?
PE74653 raccolse un pezzo di panchina rotto e inviò un messaggio di segnalazione all’unità centrale.
- Si giustifica per l’assoluta indifferenza su questo piano rispetto all’alternativa: una catena infinita di cause effetto, ma la catena stessa da dove origina? Possiamo arrivare a infinite catene di infinite catene inscatolate come matrioske all’infinito. E’ un loop infinito che razionalmente non ha certo maggior senso che non l’introdurre una rottura.
- Dopo di che avendo introdotto un inizio incausato e intelligente, tutto può essere anche le cose più assurde raccontate da certe religioni.
- Assurde fino a un certo punto, poiché tutte rispondono a precisi bisogni, socio-politici, economici o perlomeno psicologici. Beh gli scopi temporali degli adepti ovviamente usano la religione, ma non sono religiosi, in quanto al bisogno psicologico lo potremmo definire anche spirituale e verosimilmente è indotto da Dio stesso.
Un piccolo scatto metallico interruppe la conversazione.
- Di nuovo questa ruota – sbottò TS44326.
PE74653 saltellò veloce sulle sue otto zampe meccaniche e con l’occhio del braccio basale anteriore esaminò con cura il problema:
- Non è grave, dovresti riuscire a finire il tuo giro.
- Comunque l’unità di emergenza è qui vicino - rispose dopo un rapido controllo sul radio schermo interno.
TS44326 contattò attraverso la radio installata nel lobo posteriore del suo cervello bio-meccanico la centrale.
- Tutto a posto, dovrebbe essere libera tra un quarto d’ora.
- Bene, io ti saluto il mio giro prosegue lungo il canale.
- Buon lavoro ci vediamo stasera alla cyberteca?
- Come al solito.
- Ciao.
- Ciao.

domenica 1 gennaio 2012

LA GIOIA DI VIVERE


Sole.
Sole grande e lontano. Pallido, appena sopra l’orizzonte. Odore di muschio nell’aria aspra.
Sole.
Lontane circa un miglio l’una dall’altra. Si stagliano. Uniche linee verticali nella sterminata pianura, le due betulle. Non sono proprio betulle, ma ci assomigliano un poco.
Non hanno nome.
Nulla ha nome qui. Nemmeno io.
Non servono nomi, perché ogni cosa è conosciuta.
Non servono nomi, perché nessuno può pronunciarli, nessuno può ascoltarli.
Nessuno c’è.
Io solo. E la pianura, le due betulle, i piccoli roditori e i licheni. Tanti. Carnosi e nutrienti.
Poi c’è l’oltre. C’è la parte fuori dalla mia portata. Tutto il pianeta. Tranne questo posto in cui sto. In cui stavo. E starò.
La mia forma è strana e forse un po’ ripugnante per te, per via dei fili, degli occhi e del muco. Perciò non ne parlo.
Del resto io non parlo.
La parola non è tra le mie facoltà.
Ma vedo.
Vedo fino all’orizzonte. E vedo il cielo, le nuvole a volte. Ed i roditori che volano. Non so se piccoli o grandi. Volano, là in alto. Non fanno capire la loro distanza, le loro dimensioni.
I piccoli roditori non li vedo, ma ci sono. E’ perché non li vedo, che so che sono piccoli.
Vedo tutt’intorno a me. Vedo la terra che cresce, lentamente, secolo dopo secolo. Vedo i licheni viola. E quelli gialli. E le due betulle.
Le care betulle. Se tu vedessi le betulle le ameresti. E sorrideresti toccandole.
Vorrei vederti sorridere. Vorrei vederti.
Vedo la notte e il giorno. E le quattro lune, che crescono e decrescono, ma sempre splendono fiocamente, anche attraverso le nubi sottili.
A volte mi vedo. A volte no.
E ascolto anche.
Ascolto tanto. Insistentemente con attenzione. Ma non odo. Non odo molto. Solo molto silenzio. Mi piace il silenzio.
Qualche raro fremito dei piccoli roditori tra i licheni. E il vento su di me fa un piccolo rumore. Ma solamente quando è veloce, forte. Ma di solito non c’è vento. Per niente. Quasi mai. E se c’è è debole, leggero.
Io annuso.
C’è sempre odore di muschio nell’aria, non so perché. Quando s’alza il vento meno. Il vento porta via l’odore di muschio e mi dà in cambio un odore misto: odore di cose sconosciute e lontane, odore di vita. Ma da dove?
Non posso andare e cercare di scoprirlo, perché non muovo.
Sono attaccato alla terra.
Cresco fino ai licheni, succhio e li consumo. Mi ritiro e cresco in un’altra direzione, dove il lichene è grasso. Anche il lichene ricresce intanto dall’altra parte, in cui tornerò a succhiare. In un ciclo continuo. Il sapore dei licheni è buono. I licheni hanno il sapore dei licheni. Penso che a te non piacerebbe.
Già penso. Naturalmente io penso. Penso che sarà di me. So la mia nascita, perché ci sono. So dove sto. Qui. Anche se non so dove sia qui nel pianeta, perché non vedo l’oltre.
Ma non conosco il futuro. E quando tutto è fermo, dorme, ci penso.
Non mi dispiace pensare.
Preferisco però un’altra attività. L’ultima che ho da raccontarti. E a cui sono proteso, sempre, quando posso. E quando non dormo i miei lunghi sonni senza sogni.
Io soprattutto sento.
Sento la mia vita. E’ bella.
I nervi e le altre cose dentro di me, che non puoi capire e magari ti turberebbero. Ma io voglio che tu pensi a me con piacere. Tutto il mio corpo mi parla incessantemente. comunica con me e mi fa sapere che io vivo.
E’ meraviglioso.
Ma non solo me, io sento.
Sento te.
Sì te. Le tue emozioni. Le capto nella mia mente. Le analizzo. Gioco a farle mie. E in fondo lo sono. Perché io vivo in te, nel tuo pensiero. Lì sta il mio mondo, il mio universo, la mia vita. E’ reale quanto te, per me. Quanto la tua vita nella mente di Dio.
Pensami. Mi dai la vita così. E’ bella la mia vita.
Ti prego: pensami!

EPILOGO
Dirai, ed è vero, che vivo anche nel pensiero del mio creatore, colui che ha scritto di me. Sì, gli sono grato. Però tu ... beh ...tu … io ... insomma ... insomma, io ti amo.