venerdì 28 settembre 2012

LE NOCI MAGICHE

Un giovane ebbe in eredità dal padre il mestiere di seggiolaio, una piccola casa, con un piccolo prato e un grande noce, che faceva ogni anno moltissime noci.
Il giovane girava per i paesi e le città vicine e siccome era molto bravo, sia a riparare gambe e schienali sia ad impagliare, gli affari gli andavano a gonfie vele. Tanto che riuscì a comprarsi un asino per aiutarlo a trasportare gli attrezzi e il materiale da lavoro.
Un giorno conobbe una fanciulla, che era sola al mondo, essendo cresciuta in un orfanotrofio. I due si innamorarono e si sposarono. Ebbero presto una bimba e dopo poco anche un bimbo.
Un giorno il giovane fu aggredito dai briganti che per rubargli l’asino e il ricavo della giornata lo colpirono sulla testa con un bastone uccidendolo.
Per la giovane moglie nel frattempo era quasi giunto il momento del terzo parto. Dopo pochi mesi infatti nacquero due gemelli.
La povera donna, non poteva certo lavorare, con due bambini ancora piccoli e due neonati da accudire, né voleva separarsene avendo provato di persona la tristezza di dover crescere senza avere una famiglia.
Decise quindi di vivere dei beni lasciategli dal marito per un po’ di tempo per potersi dedicare interamente ai propri bambini, prima di incominciare a lavorare per mantenerli.
Ma dopo poco neanche un anno dalla morte del marito i soldi erano già finiti e i bambini erano ancora piccoli e impegnavo la madre dalla mattina alla sera.
Per fortuna era la stagione delle noci e la donna con i bimbi più grandi le raccolse, le essiccò e mentre i gemellini ancora allattavano lei e i figli più grandicelli incominciarono a nutrirsi di noci.
Dopo qualche giorno passò un viandante, che chiese di poter mangiare qualcosa. La donna spiegò la loro triste situazione e si scusò con il viandante di potergli offrire solo noci.
Il viandante sorrise e con il suo bastone percosse il tronco dell’albero. Caddero alcune noci. “Provate ad aprirle” disse il viandante. Così fecero e dentro trovarono al posto delle noci dei pezzetti di carne arrostita.
Il viandante era infatti uno stregone che fu festeggiatissimo dalla famigliola e quindi proseguì il suo viaggio.
Da quel giorno in tutte le noci cominciarono a trovare carne, pesce, pasta, verdure, frutta e ogni sorta di cibo.
Ma un giorno giunsero gli esattori del re per raccogliere le tasse e trovando solo una ricca provvista di ne vollero assaggiare. Quando si accorsero che le noci erano magiche riempirono un grosso sacco di noce per portarle al re.
Quando però furono al castello tutte le noci erano piene di muffa. Il re derise il capo degli esattori, che fu molto contrariato della cosa. Tornò dalla povera famigliola e controllò le noci: erano tutte sanissime e piene di cibi prelibati. Provò ad allontanarsi dalla casa, ma appena usciva dall'ombra del noce vide che i cibi si tramutavano in muffa.
Tutto contento della scoperta riuscì a convincere il re ad andare di persona sul posto. L’albero magico piacque molto al re che lo volle per sé e gettando un sacchetto di monete d’oro alla famiglia ne prese possesso e tornò al castello.
Il capo degli esattori, però disse:
Questo sacchetto d’oro serve a pagare le tasse” e cacciò la famiglia senza darle nulla.
La famigliola si allontanò disperata. La bimba però aveva tenuto in tasca alcune noci, che anche quando furono molto lontani dal vecchio noce restarono buone.
Trovarono una capanna abbandonata sul margine del bosco per passarvi la notte e i bimbi nascosero l’ultima noce seppellendola per terra fuori dalla capanna.
Il mattino dopo il re tornò al grande noce e lo trovò rinsecchito e si arrabbiò molto con il suo capo esattore.
Invece la famigliola uscendo dalla capanna vide che nella notte era cresciuto, dalla noce seppellita, un intero albero di noce, da cui già cadevano delle bellissime noci magiche.

domenica 23 settembre 2012

LA VALLE DELL'INVIDIA

Nelle terre al di là del mare, dopo un’ampia pianura e dolci catene di colline sorge una valle amena. Molto tempo fa gli abitanti della valle vivevano serenamente finché un giorno un demone vecchio e stanco che passava di lì non decise di stabilirsi nella valle a godersi la pensione.
Il demone aveva trascorso la vita tormentando gli uomini con mille calamità, così lui stesso aveva sempre vissuto in zone disastrate. Pensò perciò di meritarsi finalmente una casa più comoda.
Cominciò a rendere la valle più confortevole, facendo franare gli speroni di roccia che toglievano il sole d’inverno e facendo crescere alti alberi per ombreggiare d’estate, regolando i corsi dei ruscelli e livellando le strade. Bloccava i venti troppo impetuosi e le nubi temporalesche. Di giorno splendeva sempre il sole, ma spesso la notte pioveva, abbeverando piante e animali.
Sotto le cure del demone, la valle era diventata un paradiso. Il demone però non si accontentava di un bel clima, voleva anche un passatempo.
Così aprì ben bene i suoi pori e lasciò sprizzare fuori tutta la sua invidia per gli uomini, che avevano sempre dimostrato così grande forza e pazienza nel sopportare i suoi malefici.
Gli abitanti della valle furono subito pieni di invidia. Incominciarono a invidiare le valli del nord perché avevano più freddo e più neve d’inverno, quelle dell’est perché avevano più pioggia in autunno, quelle dell’ovest perché avevano più vento in primavera e quelle del sud perché avevano più caldo d’estate. Invidiavano gli abitanti della pianura perché non avevano strade in salita e quelli delle montagne perché avevano delle strade in discesa, gli abitanti della costa perché avevano il mare e quelli del deserto perché non avevano umidità.
Tra di loro poi si invidiavano ogni cosa: campi, case, attrezzi, animali, parenti. L’invidia impregnava tutta la loro vita, le amicizie morivano, le famiglie si sgretolavano, ciascuno si isolava e incattivito, passava il tempo a guardare tutto il bene degli altri augurandosi che venisse meno.
Così la vita nella valle seppure facile perché i campi erano fertili e gli animali pingui e fecondi divenne tristissima.
Finché i lamenti dei viaggiatori che passavano per la valle e venivano maltrattati dagli invidiosi abitanti giunsero in cielo e un angelo scese a controllare la situazione.
Visto come stavano le cose, l’angelo prese le nubi dall’oceano e dalle montagne, dalle colline e dalle pianure e le convogliò sopra la valle.
Inutilmente il demone cercava di scacciarle: si accumulavano sempre più nere e più spesse. Infine si scatenò una tempesta che durò sette giorni e sette notti.
Fiumi d’acqua scesero dal cielo trascinando fango e alberi dalle montagne, distruggendo campi e boschi, disperdendo le mandrie e le greggi e travolgendo le case dei paesi di fondovalle. Gli scampati al disastro fuggirono nei paesi più in alto, anch’essi duramente provati, e là furono ospitati.
La valle era sconvolta la ricchezza perduta, ma gli abitanti si ritrovarono e unirono le loro forze per rimediare ai disastri. I più fortunati, che avevano perso meno, compatirono e aiutarono i più sfortunati che da parte loro riconobbero la fortuna dei primi come un beneficio per loro stessi, grazie all’aiuto che ne ricevettero.
Il demone vedendo che gli uomini avevano riacquistato la loro serenità si rimangiò tutta l’invidia e fuggì via e la valle tornò ad essere una valle normale, imperfetta, ma serena.

sabato 15 settembre 2012

SOPRADIGA E SOTTODIGA

Nel paese di Mittemor c’erano due villaggi vicini, uno tra le colline e uno appena sotto. Tutti e due stavano sulla sponda del fiume Porpor, ma tra i due villaggi vi era una diga.
Il villaggio di Sopradiga era abitato da allevatori che usavano l’acqua del lago artificiale formato dalla diga come riserva d’acqua per il bestiame. Il villaggio di Sottodiga invece era abitato da agricoltore che utilizzavano l’acqua del fiume per irrigare i campi.
La diga stava esattamente a metà strada tra i due villaggi e ne segnava il confine. Spesso tra i due villaggi durante la stagione secca vi erano grosse discussioni per regolare il livello del lago e del fiume, poiché la stessa acqua serviva sia sopra sia sotto la diga.
Un giorno però mentre il lago era già al livello più alto, vennero del tutto fuori stagioni delle pioggie forti e insistenti.
Gli abitanti di Sottodiga corsero alla diga per rinforzarla, mentre gli abitanti di Sopradiga costruivano degli argini perché il lago crescendo non sommergesse il loro villaggio.
Le piogge continuavano senza sosta e gli abitanti dei due villaggi, non sapevano più cosa fare. Gli abitanti di Sottodiga si rifugiarono a Sopradiga, per paura di essere travolti dall’acqua del lago se la diga avesse ceduto e aiutarono a rinforzare gli argini.
Il vecchio della montagna che abitava alle sorgenti del fiume, compiaciuto per l’aiuto che i due villaggi si stavano reciprocamente dando e sapendo che la diga non avrebbe retto andò a svegliare il vecchio drago Molech e lo condusse come un cagnolino fino al lago. Qui usando il drago come un lancia fiamme costruì un canale che prendendo le acque dal lago le riportava nel fiume a valle di Sottodiga. Così i due villaggi furono salvi.
Quando la burrasca cessò, gli abitanti dei due villaggi salirono sulla montagna per ringraziare il vecchio e il drago, ma il vecchio disse loro che il miglior ringraziamento era quello di lasciar dormire in pace lui e il drago. Fu così che gli abitanti dei due villaggi costruirono una casa vicino alla diga per poter discutere sulla regolazione delle acque senza più disturbare con le loro grida il vecchio e il drago.

domenica 9 settembre 2012

JENNY E PENNY


Un uomo di nome Shon, percorrendo la via che va da Sud a Nord e vedendo quanto essa fosse lunga e faticosa decise di costruire una locanda a metà della strada, ai piedi delle montagne.
Così fece e lì si stabilì con la moglie Tara. Un bel giorno la coppia ebbe due bambine, due gemelle davvero identiche. Gli stessi capelli rossi, gli stessi occhi azzurri, le stesse labbra sottile, lo stesso naso all’insù. Le due gemelline però tanto erano uguali nell’aspetto, tanto erano differenti nel carattere. Una era infatti estremamente vivace, l’altra invece molto tranquilla.
Crescendo le due gemelle cominciarono entrambe ad aiutare i genitori alla locanda, ma mentre Jenny non si stancava mai di muoversi avanti e indietro lavorando o chiacchierando con i clienti, la gemella Penny appena poteva si sedeva in riva al fiume a guardare il cielo.
Penny amava soprattutto guardare il volo degli uccelli. Anche Jenny amava vedere volare gli uccelli, ma preferiva correre dietro alle loro ombre sui prati. Questa passione per il volo accomunava le due gemelle, che spesso ne parlavano tra loro.
Un giorno un elfo dei boschi, che ascoltava la loro conversazione, si fece avanti e rivelò loro che in mezzo alle montagne vi era un lago. La fata del lago, per un antico giuramento, realizzava i desideri di chi si fosse bagnato nel lago la sera del giorno del solstizio d’estate a patto che il comportamento di quella persona fosse stato irreprensibile nel corso dell’ultimo anno.
La fata sapeva leggere la vita delle persone dai loro occhi ed era davvero esigente e per questo dopo molte delusioni gli uomini si erano stufati di andare da lei e si erano dimenticati di lei e del lago. Solo gli elfi, che essendo immortali ricordano cose antichissime conservavano ancora questo segreto.
Le due ragazze erano così eccitate alla notizia che il loro desiderio di volare poteva essere esaudito, che non prestarono molto peso alle spiegazioni dell’elfo. Poiché però erano delle buone e brave ragazze continuarono a comportarsi bene secondo la loro natura.
Il giorno del solstizio, con il cuore in gola salirono al lago e al tramonto scesero nelle sue acque. Subito apparve la fata del lago. “Bene, bene” disse “C’è dunque ancora qualcuno che si ricorda di me. Dunque voi vorreste volare?” “Sì, sì” urlarono le ragazze. “In effetti non vi siete comportate male” disse la fata “Però tu Jenny pur avendo fatte tante cose buone, lo hai fatto per te stessa, per la tua smania di attività, più che per gli altri e perciò sei rimasta distante dal cuore delle persone che hai incontrato e tu Penny pur avendo fatte tante cose buone ne hai tralasciate molte altre per la tua indolenza. Perciò, anche se effettivamente io posso darvi il dono del volo non lo farò, ma farò invece volare questi due rospi.” Detto ciò due grossi rospi che stavano in riva al lago si trasformarono in due splendidi cigni e volarono via.
Le ragazze piansero dalla delusione, ma la fata le consolò “L’anno prossimo io sarò ancora qui e se voi tornerete, forse le cose andranno diversamente, comportatevi bene!”
Le ragazze tornarono a casa meditando le parole della fata.
Fu così che Jenny smise di correre sempre indaffarata e cominciò invece a passare molto tempo a pettinarsi e a curarsi le unghie per essere più carina con i viaggiatori di passaggio alla locanda. Penny invece si diede un gran da fare e pensò solo a lavorare.
Così passò un anno e le due ragazze tornarono al lago. La fata quando le vide scosse la testa e due coniglietti si trasformarono in due meravigliose aquile e volarono via. Le due ragazze capirono subito di aver fallito ancora e cominciarono a riflettere sul racconto dell’elfo, forse davvero non era possibile accontentare la fata. “Non scoraggiatevi ancora” disse però la fata “avete toccato i due estremi adesso potete trovare l’equilibrio”.
Le due ragazze sconsolate tornarono a casa e decisero di controllarsi e limitarsi a vicenda. Così lavorando e riposando insieme e occupandosi dei viaggiatori senza foga, ma con compartecipazione acquisirono grande fama presso tutti i viandanti del paese.
Al solstizio successivo la fata le accolse sorridendo “Questa volta sì, avete meritato il premio!” Felicissime le gemelle aspettavano di essere trasformate in qualche uccello, ma dopo un po’ vedendosi sempre uguali, un po’ dubbiose guardarono la fata. Questa rise e le prese per mano e volò con loro: “A voi ho dato il potere delle fate, perciò potrete volare con il vostro corpo e fare molte altre cose”.
Le due gemelle felicissime divennero così due fate, impararono molte magie dalla fata del lago e volarono per tutta la terra per aiutare la gente meritevole che ne aveva bisogno.

domenica 2 settembre 2012

LE BALESTRE MAGICHE


Un pastore di nome Silo pascolava le sue pecore vicino alla Grande Foresta dove nessun altro osava portarle, perché i lupi uscivano talvolta dal bosco mangiandosi pecore e pastori. Ma Silo aveva una balestra che non sbagliava mai un colpo, tanto che tutti la consideravano magica e con questa riusciva a difendersi dalle incursioni dei lupi.
Venne però un inverno molto freddo e i lupi si fecero più numerosi e aggressivi e Silo era in difficoltà. Chiese agli altri pastori di aiutarlo, ma nessuno ne volle sapere niente. Le loro pecore erano al sicuro e non volevano certo rischiare la vita per le pecore di Silo. Allora Silo costruì una seconda balestra identica alla prima e andò al villaggio.
Dopo un po’ trovò un giovane di nome Roan che accettò dietro compenso di andare con la balestra a cacciare i lupi. E così fece, e grazie alle balestre di Silo ben presto i lupi furono tenuti a bada e a primavera tornarono nella foresta, lasciando in pace le pecore di Silo.
Roan il cacciatore però vedendo sfumare il suo guadagno prese a cacciare le pecore di Silo. Questi se ne accorse e lo pregò di smetterla. Ma Roan fece finta di niente. Così Silo decise di affrontarlo. Prese la balestra e andò da lui. Questi si nascose dietro al fratellino e scagliò un dardo contro Silo. Silo fu ferito ma riuscì a lanciare la sua freccia che trapassò i due giovani uccidendoli entrambi.
I genitori di Roan corsero urlando contro Silo per ucciderlo e Silo non volendo fare altre vittime fuggì. Tutto il villaggio ed i pastori si riunirono e sentenziarono la colpa di Silo e lo condannarono all’esilio, pena per la verità leggera per un omicidio, ma nessuno aveva il coraggio di affrontarlo.
Silo amareggiato per la condanna ricevuta prese le sue pecore e si inoltrò nella foresta.
Venne di nuovo l’inverno e fu peggiore del precedente e di nuovo i lupi giunsero in massa. I pastori mandarono i genitori di Roan a fronteggiarli, ma essi furono uccisi.
Tutti si chiusero nelle case e i lupi fecero strage delle pecore e infine irruppero nel villaggio e entrarono nelle case e mangiarono tutti i suoi abitanti diventando i padroni del villaggio.
Silo intanto che vagava tra le radure della foresta, conobbe una tribù di cacciatori che lo aiutò a salvare le sue pecore. Con i cacciatori della foresta tornò al villaggio e lo liberò dai lupi e tornò a vivere tranquillo insieme al nuovo popolo che lo aveva accolto nella foresta e che ora si era stabilito nel villaggio e nessun lupo osò mai più entrarvi.