Quando Kuti si svegliò
quel mattino, dapprima non si accorse di nulla. L'aria era fresca e
profumata. I suoni familiari del bosco facevano da sottofondo al
rumore della macina che preparava la farina di koga. Poi però sentì
qualcosa. Si toccò. Il cuore sobbalzò, si chiuse la gola. Corse a
guardarsi.
Ecco era arrivato. Il
momento a cui si stava preparando fin da quando poteva ricordare
qualcosa era ormai prossimo. Un pembe stava spuntando sulla fronte.
Kuti sapeva che entro un
paio di giorni il pembe sarebbe uscito. Poi nel giro di 3 o 4
settimane ne sarebbero spuntati altri 3.
Sapeva che tra il momento
della fuoriuscita del primo pembe e quello della fuoriuscita
dell'ultimo doveva entrare nell'Amsha.
Sapeva che se non lo
avesse fatto sarebbe iniziato il processo di retrocrescita: il
ringiovanimento allo stesso ritmo della crescita vissuta fino ad
allora. Avrebbe perso via via tutte le sue capacità fisiche e
mentali fino a ridursi ad un feto. A quel punto il feto sarebbe stato
deposto in una incubatrice: Lì sarebbe rimasto a ridursi fino a
scomparire del tutto.
Kuti sapeva anche che non
tutti quelli che entravano nell'Amsha ne uscivano. Nessuno sapeva che
cosa ne era di loro.
Sapeva che l'Amsha
risultava assolutamente diverso per ciascuno e in questo stava la
difficoltà nel prepararsi ad affrontarlo. Era impossibile prevedere
cosa avrebbe richiesto l'Amsha ad ognuno.
Per alcuni risultava
molto semplice attraversarlo, per altri un rompicapo. Ad alcuni si
presentava come uno spazio immateriale da attraversare solo con il
pensiero, ad altri richiedeva sforzi fisici enormi. Nessuno sapeva se
la mutevolezza dell'Amsha dipendesse dall'Amsha stesso o fosse
determinata, involontariamente, da chi vi entrava.
Kuti conosceva però la
propria determinazione ad entrare nell'Amsha e ad uscirvi.
La vita che l'aspettava
fuori dall'Amsha durava 4 – 5 volte di più del periodo di
retrocrescita, ma non era tanto questo. Kuti voleva diventare un
adulto o un'adulta, giacchè come tutti i giovani della sua specie
Kuti era assessuato, e fare di coneguenza tutte le esperienze che
solo gli adulti potevano fare.
Kuti non voleva aspettare
a lungo. Stava bene e il suo fisico non poteva certo rafforzarsi
ulteriormente nel giro di pochi giorni. Aveva solo bisogno di
guardarsi dentro per trovare la serenità insieme alla determinazione
che già sapeva di avere.
Così appena spuntato il
secondo pembe salutò i familiari e gli amici e senza esitazioni
entrò.
Era buio. Allungò le
braccia tutt'intorno senza riuscire a toccare nulla. Fece un respiro
profondo e si mosse molto lentamente, facendo strisciare i piedi in
avanti uno dopo l'altro con un braccio in avanti alla ricerca di
ostacoli. Incominciò a vedere una leggera luminescenza davanti a sé.
La studiò un attimo poi si incamminò sempre con circospezione, ma
senza più strascicare i piedi. Nemmeno il braccio serviva più. Dopo
un po' incominciò a vedere delle pareti. Era in una specie di grossa
caverna sulle cui pareti vide aprirsi cunicoli innumerevoli che si
spostavano in continuazione muovendosi in modo disordinato.
L'ingresso era sparito, non c'era modo di tornare indietro. Non c'era
modo di uscire se non attraverso i cunicoli. Non c'era differenza tra
l'uno e l'altro, anche perché non solo la loro posizione ma anche le
loro forme variavano in continuazione.
Doveva affidarsi al caso
e tentare la sorte? Il dilemma non era da poco. Non sapeva nemmeno se
quell'ambiente fosse stabile o se sarebbe poi mutato del tutto, né
sapeva che autonomia si poteva avere in quel posto, senza cibo, né
bevanda. La paura di fare la mossa sbagliata rischiava di risultare
paralizzante, ma nemmeno agire a caso poteva essere una scelta
conveniente in un momento così importante. Cosa fare? Chi poteva
correre in suo aiuto? Questa era una domanda interessante. Nell'Amsha
niente poteva essere dato per scontato, nemmeno di essere soli e
senza aiuto. Kuti provò a chiedere:
- C'è qualcuno qui che
può aiutarmi, c'è qualcuno che vuole aiutarmi?
Riprovò:
- Se ci sei ti prego,
rispondimi, aiutami!
Un leggero bagliore fece
tremare l'aria davanti a Kuti e si materializzò come per magia una
fata. Una piccola fata come quelle che aveva visto nei suoi libri
d'infanzia. Esile e luminosa con 2 alucce trasparenti che battevano
rapidissime.
Kuti era dubbioso:
esisteva veramente o era solo un'illusione, un inganno dell'Amsha per
catturarlo per sempre?
- Mi guiderai fuori? -
Chiese.
- Lo farò. - Rispose la
fata.
La voce era dolce e
l'espressione sorridente.
- Perché?
Perché me l'hai
chiesto. E poi non ho altro da fare. Sarà bello stare per un po' in
tua compagnia.
Sei simpatica. Io sono
Kuti. Tu come ti chiami?
Mi chiamo Duara. Andiamo?
Kuti la seguì verso un
cunicolo, questo si aprì, era molto luminoso, poi la luce crebbe
ancora, divenne abbagliante, accecante. Allungò le mani e disse alla
fata:
aiutami ancora, non
riesco più a vederti, dammi la mano.
Sentì la stretta di una
piccola mano calda. Si incamminò stringendola delicatamente.
Camminava con sicurezza concentrandosi solo sulla mano che tirava
quasi impercettibilmente. La luce progressivamente si abbassò. C'era
una fitta nebbia.
Kuti sentì un torpore
avvolgente, una sensazione di calore, continuava a muoversi, ma con
difficoltà. Non era però una difficoltà fastidiosa, ma come un
rallentamento naturale a cui si adeguava tranquillamente. Anche la
sua mente si placava. I pensieri evaporavano. Kuti rimase sospeso in
uno stato indescrivibile. Ad un certo punto si ridestò e si accorse
di non sentire più la mano della fata. Fu preso dal terrore:
ti ho persa, dove sei
Duara? cosa succede? Urlò.
Duara rispose con voce
placida:
tranquilla mia cara, è
già successo tutto stai per uscire
Mia cara! Dunque era una
femmina.
Fece qualche passo in
avanti.
La nebbia d'improvvisò
si diradò. E vide dei volti familiari che la fissavano. Sentì le
loro urla di gioia e fu travolta dagli abbracci.
Era curiosa di vedersi.
Ma dagli sguardi dei maschi che la guardavano capì subito di essere
diventata una kimanzi. Dunque non aveva che da scegliere, chi
prendersi come compagno.
Era un ottimo inizio.
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