domenica 7 ottobre 2012

LA SOLITA STORIA

“Ecco, anche oggi la solita storia” pensò Ginko mentre la pendola del soggiorno batteva il terzo quarto delle sette e, come di consueto, sua sorella Rosa si attardava in bagno.
I genitori di Ginko e Rosa infatti partivano molto presto per andare al lavoro e così era Rosa ad accompagnare con il suo motorino Ginko a scuola. Le lezioni alla scuola di Rosa però iniziavano mezz’ora dopo rispetto a quelle della scuola di Ginko, così Rosa se la prendeva comoda e finiva per far arrivare Ginko tardi a lezione.
“La solita storia, arriverò in ritardo e le mie maestre, rimprovereranno me, mica Rosa”. Ma in realtà era ormai rassegnato e non sprecò nemmeno il fiato ad implorare sua sorella di sbrigarsi. Finalmente, dopo cinque minuti buoni, Rosa uscì dal bagno e furono pronti a partire. “La solita storia” ripeteva ancora tra sé e sé Ginko sconsolato.
Quando arrivò a scuola si accorse però subito che qualcosa non era proprio come al solito. Per prima cosa, al posto del vecchio olmo c’era un albero più piccolo e molto molto strano, si sarebbe detto “grassottello”: mai visto un albero così! Poi una grossa voliera stava di fianco al portone piena di tantissimi uccelli, per lo più piccoli, ma alcuni anche grossi e tutti diversi tra loro. Gli uccelli sembravano molto agitati e quando Ginko si avvicinò si ammassarono verso di lui schiamazzando. Ginko però andava di corsa e si ripromise di ritornare durante l’intervallo a dare un’occhiata.
Entrò rapidissimo nell’edificio ed ecco un’altra cosa strana: non c’era Pino, il bidello con il suo solito: “Corri, corri Ginko che la campanella è già suonata da due minuti” oppure da tre o quattro o cinque, secondo i comodi di Rosa.
Ginko comunque corse alla porta della sua classe, trasse un profondo respiro, bussò ed entrò. E questa fu la sorpresa più grande. Tre strani bambini lo guardavano imbambolati e due altrettanto strane maestre stavano ferme dietro la cattedra. “Dove sono tutti i miei compagni e le mie maestre, e voi chi siete?” chiese Ginko sbigottito. “Non ci sono più” rispose con voce metallica una delle maestre, ora ci siamo noi, coraggio, siediti al tuo posto”. Ma guarda caso uno di quei tre bambini inebetiti sedeva proprio al suo posto. “Perché non ci sono i miei compagni” insisteva Ginko, ma intanto si avvicinò al suo banco e fece per prendere il bambino che lo occupava per la manica. Nel momento in cui lo toccò però il bambino si sbriciolò. Gli altri bambini e una maestra continuavano a fissarlo con il loro sorriso stupido, mentre la maestra che aveva già parlato ripeteva: “Su coraggio siediti”.
Ginko aprì la cartella e cominciò a lanciare libri e quaderni contro i bambini e le maestre. Tutti si sbriciolarono lasciando per terra solo un po’ di segatura. Ginko corse fuori e provò a entrare nelle altre classi: tutte vuote.
Stava per uscire, quando una brutta caricatura del direttore, più grossa e deforme gli si parò dinanzi. Ginko gli sferrò un calcio, pensando si sbriciolasse invece, l’omone lo afferrò e cominciò a trascinarlo verso la direzione. Ginko allora gli sputò negli occhi e approfittando dell’allentamento della presa, perché con una mano il finto direttore si stava ripulendo gli occhi, sgusciò via e corse fuori, inseguito goffamente dal mostro.
Appena fuori, tutti gli uccelli cominciarono a gridare e Ginko, si fermò, si girò e aprì la gabbia per liberarli: appena fuori gli uccelli si trasformarono, nei suoi compagni, nelle maestre e nei bidelli della scuola.
L’omone, che era ormai sopraggiunto, lanciò un urlo. Ginko scagliò la gabbia a terra rompendola e il mostro incominciò a irrigidirsi, mentre lo strano nuovo albero lentamente riprendeva le sembianze del direttore.
L’olmo ritornò al suo posto e al suo aspetto. Inutile dire che quel giorno Ginko fu festeggiato con grandi onori da tutti e non fu sgridato per il ritardo ma ottenne anzi un permesso permanente di arrivare in ritardo.

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