“Ecco, anche oggi
la solita storia” pensò Ginko mentre la pendola del soggiorno batteva il
terzo quarto delle sette e, come di consueto, sua sorella Rosa si
attardava in bagno.
I
genitori di Ginko e Rosa infatti partivano molto presto per andare al
lavoro e così era Rosa ad accompagnare con il suo motorino Ginko a
scuola. Le lezioni alla scuola di Rosa però iniziavano mezz’ora dopo
rispetto a quelle della scuola di Ginko, così Rosa se la prendeva comoda
e finiva per far arrivare Ginko tardi a lezione.
“La
solita storia, arriverò in ritardo e le mie maestre, rimprovereranno
me, mica Rosa”. Ma in realtà era ormai rassegnato e non sprecò nemmeno
il fiato ad implorare sua sorella di sbrigarsi. Finalmente, dopo cinque
minuti buoni, Rosa uscì dal bagno e furono pronti a partire. “La solita
storia” ripeteva ancora tra sé e sé Ginko sconsolato.
Quando
arrivò a scuola si accorse però subito che qualcosa non era proprio
come al solito. Per prima cosa, al posto del vecchio olmo c’era un
albero più piccolo e molto molto strano, si sarebbe detto
“grassottello”: mai visto un albero così! Poi una grossa voliera stava
di fianco al portone piena di tantissimi uccelli, per lo più piccoli, ma
alcuni anche grossi e tutti diversi tra loro. Gli uccelli sembravano
molto agitati e quando Ginko si avvicinò si ammassarono verso di lui
schiamazzando. Ginko però andava di corsa e si ripromise di ritornare
durante l’intervallo a dare un’occhiata.
Entrò
rapidissimo nell’edificio ed ecco un’altra cosa strana: non c’era Pino,
il bidello con il suo solito: “Corri, corri Ginko che la campanella è
già suonata da due minuti” oppure da tre o quattro o cinque, secondo i
comodi di Rosa.
Ginko
comunque corse alla porta della sua classe, trasse un profondo respiro,
bussò ed entrò. E questa fu la sorpresa più grande. Tre strani bambini
lo guardavano imbambolati e due altrettanto strane maestre stavano ferme
dietro la cattedra. “Dove sono tutti i miei compagni e le mie maestre, e
voi chi siete?” chiese Ginko sbigottito. “Non ci sono più” rispose con
voce metallica una delle maestre, ora ci siamo noi, coraggio, siediti al
tuo posto”. Ma guarda caso uno di quei tre bambini inebetiti sedeva
proprio al suo posto. “Perché non ci sono i miei compagni” insisteva
Ginko, ma intanto si avvicinò al suo banco e fece per prendere il
bambino che lo occupava per la manica. Nel momento in cui lo toccò però
il bambino si sbriciolò. Gli altri bambini e una maestra continuavano a
fissarlo con il loro sorriso stupido, mentre la maestra che aveva già
parlato ripeteva: “Su coraggio siediti”.
Ginko
aprì la cartella e cominciò a lanciare libri e quaderni contro i
bambini e le maestre. Tutti si sbriciolarono lasciando per terra solo un
po’ di segatura. Ginko corse fuori e provò a entrare nelle altre
classi: tutte vuote.
Stava
per uscire, quando una brutta caricatura del direttore, più grossa e
deforme gli si parò dinanzi. Ginko gli sferrò un calcio, pensando si
sbriciolasse invece, l’omone lo afferrò e cominciò a trascinarlo verso
la direzione. Ginko allora gli sputò negli occhi e approfittando
dell’allentamento della presa, perché con una mano il finto direttore si
stava ripulendo gli occhi, sgusciò via e corse fuori, inseguito
goffamente dal mostro.
Appena
fuori, tutti gli uccelli cominciarono a gridare e Ginko, si fermò, si
girò e aprì la gabbia per liberarli: appena fuori gli uccelli si
trasformarono, nei suoi compagni, nelle maestre e nei bidelli della
scuola.
L’omone,
che era ormai sopraggiunto, lanciò un urlo. Ginko scagliò la gabbia a
terra rompendola e il mostro incominciò a irrigidirsi, mentre lo strano
nuovo albero lentamente riprendeva le sembianze del direttore.
L’olmo
ritornò al suo posto e al suo aspetto. Inutile dire che quel giorno
Ginko fu festeggiato con grandi onori da tutti e non fu sgridato per il
ritardo ma ottenne anzi un permesso permanente di arrivare in ritardo.
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