Adolfo Stalino era un uomo. E qui, non volendo parlare male di lui, bisognerebbe chiudere il discorso. Egli era, infatti, sotto ogni aspetto, una persona spregevole. Era dotato invero di una buona dose di senso dell'umorismo, ma le sue battute erano quasi sempre offensive per gli ascoltatori e comunque triviali e spesso decisamente stupide.
Adolfo Stalino era stato un ragazzo di una certa prestanza fisica, anche se non bello. Lo sguardo apparentemente gioviale rivelava però presto lo spirito meschino, approfittatore e vendicativo che lo muoveva. Ciò nonostante, poiché esistono fanciulle in età da marito, che paiono non poter resistere al fascino dei farabutti, mentre cercano un uomo onesto che le ami sinceramente, anche Adolfo Stalino ebbe le sue avventure giovanili.
Ben presto però trovò più soddisfacente appagare i suoi sensi disturbando solo il portafogli. La totale mancanza di scrupoli che distingueva ogni sua azione, in congiunzione con il capitale ereditato dal padre, lo portò infatti a raggiungere rapidamente un benessere economico, che lungi dal soddisfare la sua ingordigia di denaro e di potere, gli consentì di poter spendere senza troppi riguardi per i suoi piaceri. Per altre cose, del resto, a parte gli investimenti richiesti dai suoi affari, non spendeva certo soldi.
La fattoria in cui viveva, non brillava certo né per pulizia né per cura dei fabbricati. Le ultime manutenzione apportate erano in pratica ancora quelle effettuate dal padre. Facevano eccezione le nuove stalle per i maiali, che erano però in massimo grado spartane e trascuravano del tutto il benessere degli animali per dare invece il massimo profitto ad Adolfo Stalino. Altre nuove costruzioni fatte edificare da Adolfo Stalino erano il nuovo macello e lo stabilimento di lavorazione dei prosciutti.
Adolfo Stalino, pur essendo divenuto da semplice allevatore di maiali un vero e proprio industriale e un commerciante nel settore dei prosciutti, di quando in quando si dedicava, personalmente alla macellazione. Egli infatti traeva un piacere immenso dalla vista delle carni squartate, dall’odore del sangue, ma sopra ogni cosa, dalle urla disperate dei maiali, consci della propria misera fine, resa ancora più atroce dalle sofferenze, che volutamente Adolfo Stalino infliggeva loro per poter godere del loro dolore.
Adolfo Stalino era crudele come con gli animali così anche con le persone, come sapevano molto bene i suoi dipendenti. Si divertiva ad umiliarli ed era maestro nell’arte della diffamazione, che esercitava equamente verso tutte le persone con cui aveva a che fare: dipendenti, fornitori, clienti, funzionari pubblici.
Amici non ne aveva proprio, anche se nei suoi giri per le osterie trovava sempre qualche tristo figuro disposto a tenergli compagnia nella sbornia pur di avere la propria bevuta pagata .
Turpiloquio e bestemmie erano il suo modo usuale di esprimersi, del resto i suoi argomenti di conversazione erano assolutamente limitati.
Una sera, all’età di 56 anni, mentre piuttosto ubriaco cercava nella nebbia una prostituta disposta a subire ogni sorta di maltrattamenti, incontrò un platano. L’impatto fu violento e istantaneamente si trovò completamente sobrio, ma in qualche modo molto più stordito di quanto fosse mai stato in vita sua, a guardare il proprio corpo riverso nell’abitacolo con il cranio fracassato.
Subito si fermò un’auto. Adolfo Stalino, gridò ai soccorritori: “No non lui, io sono qui”. Ma nessuno sentì il suo richiamo. In quell’istante realizzò la situazione: “Sono morto! Sono morto e ... sono vivo”.
Si sentì come risucchiato, l’immagine dell’incidente svanì in una nebbia più impenetrabile di qualsiasi muro.
Si ritrovò in un turbine di niente. Un turbine di niente? Non aveva senso, ma Adolfo Stalino non avrebbe saputo definirlo in altro modo. Le parole che conosceva, non potevano certo descrivere l’aldilà. Il tempo fluiva in modo strano, fluiva sì, ma non era misurabile.
Ad un certo punto una voce, dotata di un’autorità opprimente, si rivolse a lui:
“Adolfo Stalino preparati, il tuo karma si è esaurito è giunto il momento del Giudizio. Preparati a vedere il volto di Dio, l’Onnipotente, il Creatore di ogni cosa, l’Eterno e il Giusto.”
Dopo una leggera vertigine Adolfo Stalino si ritrovò su un prato. Anzi su una prateria. L’erba era alta e verdissima, l’aria era deliziosamente profumata e una musica soave vi scorreva placidamente. Alberi stracarichi di frutti contornavano laghetti blù e ruscelli cristallini. Gruppi eterogenei di animali stavano sdraiati nell’erba, si bagnavano, camminavano o correvano felici. Alci, zebre, marmotte, scimmie, gazzelle, orsi, giraffe, uomini.
Adolfo Stalino si accorse che anche gli uomini erano nudi come gli animali. Si guardò: lui indossava una lunga veste rossa.
Avanzò, come attratto da una forza, da una luce, da un suono, da qualcosa che non poteva, né veder, né sentire, né percepire, ma che solo lo spaventava e lo costringeva ad avanzare. Cavalli, vacche, pecore, visoni, ermellini, anatre e polli. Man mano che avanzava gli animali più familiari ad Adolfo Stalino salivano di numero.
Poi incominciò a vedere i maiali. Sempre più numerosi, sempre più preponderanti. Infine su una piccola altura meravigliosamente fiorita vide un enorme verro. La voce che già conosceva parlò nuovamente:
“Inginocchiati davanti a Dio, il Signore dell’Universo, l’Onnisciente, il Perfetto, l’Eterno e il Giusto.” Adolfo Stalino crollò letteralmente a terra.
“Ascolta la tua sentenza: tu hai avuto molte vite e sempre hai mostrato la tua malvagità, non hai mai avuto nessuna pietà degli altri esseri, credi dunque che Dio debba avere pietà di te?”.
Adolfo Stalino piangendo disse:
“Signore io non sapevo, non sapevo, non capivo.”
E Dio parlò:
“Tu non volevi capire e non volevi sapere, molte volte ti sei rivolto a me, interpretando correttamente quello che è il mio aspetto preferito, ma vi era scherno nelle tue parole. Ai miei figli prediletti poi, coloro che più mi somigliano, hai riservato il più atroce dei trattamenti. Dovrei Io avere pietà di te?”
“Sì, sì, tu mi hai fatto così, tu mi hai fatto incline al male, ma tu sei il rifugio dei peccatori, tu sei il clemente e il misericordioso”.
“No, io sono il Giusto, se tu avessi riconosciuto ora le tue iniquità sarei stato clemente e misericordioso e non ti avrei imputato i tuoi innumerevoli peccati, ma poiché anche al mio cospetto, non ammetti la tua colpa e mi accusi, Io ti condanno”.
Un tormento lacerante incominciò a scuotere, senza più abbandonarlo, il corpo di Adolfo Stalino, che si ritrovò nudo in un orrido deserto di sassi aguzzi, dall’insopportabile fetore di putrefazione battuto dal vento, dalla grandine e da aliti improvvisi di calore rovente.
Cani, gatti, tigri, leoni, varani e uomini vagavano urlando, mentre un suono angoscioso e snervante riempiva la semioscurità dell’inferno. Un enorme e orrendo uccello, simile ad un avvoltoio, gli si avvicinò:
“Sii tu maledetto Adolfo Stalino, soffri il castigo di Dio per l’eternità”.
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