domenica 2 ottobre 2011

GUSTAVO


I primi radi passanti s’affrettavano, pur assonnati, verso il monotono lavoro quotidiano, ma con l’animo un po’ più leggero del solito, condizionati dal tiepido sole primaverile, che finalmente tornava ad asciugare le ormai immense pozzanghere.
Solo Gustavo era completamente incosciente di ciò. Sprofondato in sé stesso percepiva unicamente il vuoto e il freddo al suo interno. Non ricordava chiaramente come, ne dove, avesse passato la notte, vuoi per gli interminabili bicchieri di whisky, vuoi perché le sue nottate e le sue giornate si susseguivano identiche le una alla altre, come i grigi e logori palazzi della via, confondendosi tra di loro.
Trascinato dall’abitudine rientrò a casa. Incominciò a girare tra la cucina, il bagno, la camera senza fare niente per più di qualche secondo di seguito. Accese la televisione e passò in rassegna i molti canali, che pur trasmettendo programmi diversi, erano assolutamente uguali.
Dopo aver quasi dormito, davanti al video, per un tempo indefinito, passò alla musica. Prese un disco a caso e anche se il rock picchiava con forza contro le sue orecchie, non poté fare a meno di pensare. Già da molto tempo era riuscito a rimanere inerte, come un vegetale, senza decidere niente. In quel momento si accorse che quella sospensione era inutile, perché lui continuava a vivere.
Prese un pezzo di carta e cominciò a scrivere:
Cara Marta,
ti scrivo per salutarti, perché ho deciso di partire per l’America per studiare ingegneria genetica e perfezionarmi presso qualche ricercatore amorale di laggiù, prima di mettermi in proprio.
Sai, non m’importa che tu non mi ami, perché, quando sarò tornato, saprò clonare gli esseri umani , e otterrò da te un clone accelerato: gli insegnerò ad amarmi come tu non hai mai imparato. No, non sarà proprio come avere te, perché non potrà pensare esattamente come te, ne dire le cose che tu sai dire, ma sarà una persona autonoma e mi amerà, così anch’io l’amerò. La chiamerò Marta.
Non so come farò a farmi amare da lei, se ci riuscirò, ma non posso fermarmi, avere dubbi, devo continuare, realizzare questo progetto, l’ultimo che la realtà mi offre.
Tu aspettami. E se non hai voglia di aspettarmi fermerò il tempo qua da voi, così quando sarò tornato tu sarai ancora come ora e starai ancora leggendo questa lettera.
E sei come allora e stai ancora leggendo questa lettera, mentre io sono già troppo vecchio.
Addio”
Appoggiò il foglio sul tavolo. Accanto ai barbiturici.
Non spedì mai quella lettera

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