Questo corpo è la mia prigione.
Questo corpo così pesante e così
leggero, così fragile e così rigido, così debole e così lento,
così piccolo e così ingombrante.
Questo corpo che mi limita in tutti i
modi, nello spazio e nel tempo.
Questo corpo da cui non posso uscire e
che non mi piace e non riconosco, che non sento mio e da cui non
posso fuggire.
Questo corpo materiale schiavo di tutte
le leggi fisiche.
Questo corpo è la mia prigione.
Questa mente è la mia prigione.
Questa mente che mi conduce in ogni
luogo e in ogni tempo, ma non mi permette di possederli.
Questa mente che crea universi interi
eppure si perde, si avviluppa intorno a pensieri ossessivi e ripugnanti che la
incatenano.
Questa mente che non trova soluzioni,
non trova risposte e non sa neppure porre le domande.
Questa mente che non riesce ad
afferrare la realtà, che non riesce a domare la fantasia.
Questa mente che non decide cosa
desiderare, ma lo subisce.
Questa mente è la mia prigione.
Questa coscienza è la mia prigione.
Questa coscienza che ondeggia, svanisce
e ricompare, travolta dalle onde dell'esistenza.
Questa coscienza che non riesce a
vedersi, a individuarsi, a capirsi, a controllarsi.
Questa coscienza che non sa in cosa
consiste, che non sa dove risiede.
Questa coscienza è la mia prigione.
E più cerco il mio io, più mi sfugge
chi sono, più mi sfugge cosa voglio.
Ma se smetto di cercarmi, se rinuncio a
capirmi, a indirizzarmi, a credere alla mia esistenza individuale, ma
osservo tutte le relazioni di cui sono parte, che mi compongono e mi
travalicano, ritrovo l'orma del mio passo, ritrovo la vita che mi
attraversa e mi conduce là dove posso arrivare, là dove devo
arrivare. E giacché non ho libertà di scelta, là dove voglio
arrivare.
Là dove non so.
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