domenica 5 maggio 2013

DETLEF


Detlef era nato sotto le bombe. 
Sua madre Ursula era andata con la figlia dodicenne Ingrid a pescare gamberi nel Muehlenbach. Lì erano cominciate le doglie. 
Si era affrettata per quanto poteva a tornare in città. Ma mentre attraversava il quartiere di Neustadt per tornare a casa era suonato l'allarme antiaereo. 
Un attimo dopo era cominciato il travaglio. Si era stesa sul marciapiede vicino alle rovine di una casa colpita da una bomba. Sperando che dove era già caduta una bomba non ne cadesse un'altra. 
Lì con l'aiuto della sorella era nato Detlef. Dopo pochi minuti una bomba era caduta vicino alla casa, per fortuna dall'altro lato. Ma la sala parto era stata ricoperta di polvere. 
Detlef si era consolato con la prima poppata. 
Poi cessato il bombardamento erano arrivate delle persone. Con una carriola madre e figlio erano stati portati all'ospedale. 
Qualche settimana dopo la madre aveva deciso che la città non era un posto sicuro, aveva preso i 2 figli e poche cose in uno zaino e si era diretta verso la campagna.
Lì aveva trovato posto in una fattoria isolata ai margini del bosco dove un'anziana signora era rimasta sola avendo perso marito e figli sul fronte russo.
Detlef era accudito per lo più dalla sorella e cresceva libero e forte.
Due anni dopo la fine della guerra conobbe il padre che ritornava dall'Africa. Prigioniero degli inglesi in Tanzania aveva raccontato di essere scappato e di aver attraversato l'Africa a piedi facendo il bracconiere, il predone e varie altre cose. 
Detlef era ancora piccolo, ma rimase molto
impressionato dai racconti del padre. 
Appena due settimane dopo il ritorno a casa il padre fu travolto da un autocarro dell'esercito americano e tutto tornò come prima.
Detlef andò a scuola e spinto dalla madre che voleva tornare in città diventò contabile.
Nel frattempo però la madre si era ammalata di tisi ed era morta.
Così Detlef andò a lavorare al Municipio del paese vicino, ma senza abbandonare la fattoria della nonna adottiva dove rimase anche la sorella.
La sorella si sposò con un commerciante di frutta e verdura e Detlef abbandonò il lavoro al Municipio per occuparsi a tempo pieno della fattoria e dell'anziana signora, che di lì a poco morì.
In seguito però ritornò a casa la sorella che approfittando della carcerazione del marito coinvolto in una organizzazione criminale che controllava tutti i traffici illeciti della regione e per la quale aveva commesso un omicidio era riuscita a liberarsi dalla sua convivenza ormai diventata insopportabile.
Non fu un periodo facile per Detlef che cercò invano di aiutarla ad uscire dalla schiavitù degli psicofarmaci e delle anfetamine in cui era caduta.
Proprio dopo il funerale della sorella Detlef per rinfrancarsi fece una lunga passeggiata nel bosco.
Detlef imboccò uno dei sentieri che era solito percorrere per cui non v'era niente di particolarmente nuovo nel paesaggio, ma poiché sentiva il bisogno di liberare la mente dai pensieri tetri Detlef si impegnò ad osservare con attenzione ogni cosa. 
Il sentiero stesso, l'erba, gli alberi, il cielo, gli insetti ed i sassi. Guadò il torrente e giunse ad una piccola radura. Sul bordo della radura c'era un grosso ramo caduto di recente, probabilmente durante l'ultimo temporale. 
Gli aghi erano ancora verdi e freschi. Il ramo era perfettamente dritto e aveva un lungo tratto senza rami laterali. La corteccia era perfetta. Detlef contemplò il ramo per alcuni minuti e per qualche ragione che non riuscì a capire, ma la cosa non lo disturbò più di tanto dato che la nuova idea che gli era venuta occupava quasi tutta la sua mente, ad un certo punto pensò che avrebbe potuto intagliarlo e ricavare una statua.
Tornò rapidamente a casa e presa un'ascia tornò alla radura e liberò il pezzo di ramo che gli serviva. Con qualche difficoltà lo caricò su una spalla e si avviò lentamente verso casa. Dovette fermarsi varie vole a riprendere fiato, ma alla fine scaricò il ramo nella rimessa degli attrezzi sul bancone da lavoro che stava sul lato sotto la finestra.
Lo osservò ancora a lungo.
Pensò al legno, alle sue fibre, alle molecole di amido e agli atomi di carbonio, ai protoni, ai neutroni e agli elettroni a tutto quel vuoto vertiginoso. Pensò al vuoto della sua vita. A quelle poche frasi che ricordava di suo padre: “E' un miracolo che io sia arrivato”. “Ho fatto cose che non avrei voluto fare, ma quando devi sopravvivere il resto passa in secondo piano”. “L'Africa è una terra incredibile”. Pensò a sua madre così forte e decisa e poi così debole durante la malattia che l'aveva consumata. A sua sorella così inquieta, alla sua nonna adottiva così dolce. All'inutile carriera di contabile, alla fortuna invece di poter fare il contadino.
Poi ritornò a pensare alla statua che avrebbe ricavato da quel ramo.
Iniziò a intagliarlo da una estremità fino ad abbozzare una testa di uccello, ma poi ad un certo punto la testa diventò quella di un uomo, così proseguì con le spalle e il busto umano, ma lì la figura iniziò ad assumere fattezze femminili. 
Allora Detlef tornò su e tentò di trasformare la testa, ma ne uscì una testa di topo. Il corpo di topo riuscì anche bene, ma Detlef si chiese che significato dovesse avere la statua di un topo. Così distrusse la testa e ricominciò a lavorare il corpo. Man mano che il lavoro procedeva nuove forme emergevano dal legno e nuove idee si affacciavano alla mente di Detlef, talvolta coerenti talvolta in contrasto con la sua opera. 
Così Detlef continuò a incidere cambiando via via il soggetto, ma finendo inevitabilmente per ridurre le dimensioni del pezzo di legno fino a ottenere una statuina piccolissima. Tutt'intorno c'era una montagna di trucioli. Erano passati 3 giorni e 3 notti. A quel punto Detlef trasformò la statuina in una piccola croce.
Non che Detlef fosse particolarmente religioso, ma andava regolarmente in chiesa perché amava la compagnia, i saluti e le chiacchiere dopo la cerimonia, i canti e aveva simpatia per il pastore e la sua famiglia.
Ripulì e mise via la piccola croce, che custodì poi per anni gelosamente nel cassetto dei documenti più importanti.
Fu in quei giorni che Detlef si rese conto che la sua fattoria produceva molto più di quanto gli serviva, che ciò che guadagnava vendendo i prodotti in eccesso finiva in gran parte per pagare carburante, sementi, fertilizzanti, antiparassitari e dei soldi che metteva via non sapeva che farsene. 
Si rese anche conto che quel sistema di coltivazione stava depauperando il terreno, la cui fertilità veniva mantenuta sempre più artificialmente. In aggiunta Detlef non amava i rumori e non aveva nessuna passione per la meccanica e le macchine.
Allora Detlef operò un salto nel passato e convertì la fattoria con l'uso della sola forza animale buoi e cavalli, del concime e dei residui culturali come fertilizzanti, di sementi autoctone autoprodotte, di antiparassitari naturali come infusi di erbe. 
Le produzione diminuirono drasticamente, ma restarono ben al di sopra del livello di autoconsumo. Barattava qualcosa con vestiti o con qualche attrezzo che gli serviva, vendeva qualcosa per pagare la boletta delle luce e così via. Ma gli restava sempre qualcosa. Così Detlef decise di regalare tutti i prodotti che non gli servivano alla mensa dei poveri che il pastore e sua moglie avevano istituito.
Queste scelte in breve resero Detlef molto popolare. La usa fattoria diventò meta di visite scolastiche che offrivano a scolari e studenti la possibilità di visionare i metodi dell'agricoltura del passato e di gustarne i prodotti che Detlef volentieri offriva loro.
Una grossa svolta fu il conoscere una giovane coppia di emigrati polacchi che si erano impiegati come lavoratori agricoli in una grossa fattoria della zona.
L'entusiasmo dei giovani per le sue scelte e il ricordo della vecchia nonna adottiva che gli aveva accolti, prima di quando lui potesse ricordare, ma da cui aveva ereditato la fattoria, lo spinse di offrire ai giovani di condividere con lui la fattoria. 
Detlef nell'arco di una decina d'anni divenne nonno di 5 nipotini. Insieme alla sua nuova famiglia sperimentò nuove tecniche culturali e fece entrare la fattoria in un circolo di agricoltura condivisa.
Diventò così un esempio di decrescita, anche se la sua ostinazione a non rinunciare ai consumi di carne gli procurò qualche critica e antipatia.
Un giorno Detlef decise di seppellire la statuetta nel bosco proprio nella radura dove stava l'albero da cui era stata tolta e disse:
“ora anch'io sono pronto a tornare alla terra in santa pace”
E anche noi gli auguriamo, quando verrà la sua ora, di andarsene in pace.

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