Detlef era nato sotto le
bombe.
Sua madre Ursula era andata con la figlia dodicenne Ingrid a
pescare gamberi nel Muehlenbach. Lì erano cominciate le doglie.
Si
era affrettata per quanto poteva a tornare in città. Ma mentre
attraversava il quartiere di Neustadt per tornare a casa era suonato
l'allarme antiaereo.
Un attimo dopo era cominciato il travaglio. Si
era stesa sul marciapiede vicino alle rovine di una casa colpita da
una bomba. Sperando che dove era già caduta una bomba non ne cadesse
un'altra.
Lì con l'aiuto della sorella era nato Detlef. Dopo pochi
minuti una bomba era caduta vicino alla casa, per fortuna dall'altro
lato. Ma la sala parto era stata ricoperta di polvere.
Detlef si era
consolato con la prima poppata.
Poi cessato il bombardamento erano
arrivate delle persone. Con una carriola madre e figlio erano stati
portati all'ospedale.
Qualche settimana dopo la madre aveva deciso
che la città non era un posto sicuro, aveva preso i 2 figli e poche
cose in uno zaino e si era diretta verso la campagna.
Lì aveva trovato posto
in una fattoria isolata ai margini del bosco dove un'anziana signora
era rimasta sola avendo perso marito e figli sul fronte russo.
Detlef era accudito per
lo più dalla sorella e cresceva libero e forte.
Due anni dopo la fine
della guerra conobbe il padre che ritornava dall'Africa. Prigioniero
degli inglesi in Tanzania aveva raccontato di essere scappato e di
aver attraversato l'Africa a piedi facendo il bracconiere, il predone
e varie altre cose.
Detlef era ancora piccolo, ma rimase molto
impressionato dai
racconti del padre.
Appena due settimane dopo il ritorno a casa il
padre fu travolto da un autocarro dell'esercito americano e tutto
tornò come prima.
Detlef andò a scuola e
spinto dalla madre che voleva tornare in città diventò contabile.
Nel frattempo però la
madre si era ammalata di tisi ed era morta.
Così Detlef andò a
lavorare al Municipio del paese vicino, ma senza abbandonare la
fattoria della nonna adottiva dove rimase anche la sorella.
La sorella si sposò con
un commerciante di frutta e verdura e Detlef abbandonò il lavoro al
Municipio per occuparsi a tempo pieno della fattoria e dell'anziana
signora, che di lì a poco morì.
In seguito però ritornò
a casa la sorella che approfittando della carcerazione del marito
coinvolto in una organizzazione criminale che controllava tutti i
traffici illeciti della regione e per la quale aveva commesso un
omicidio era riuscita a liberarsi dalla sua convivenza ormai
diventata insopportabile.
Non fu un periodo facile
per Detlef che cercò invano di aiutarla ad uscire dalla schiavitù
degli psicofarmaci e delle anfetamine in cui era caduta.
Proprio dopo il funerale
della sorella Detlef per rinfrancarsi fece una lunga passeggiata nel
bosco.
Detlef imboccò uno dei
sentieri che era solito percorrere per cui non v'era niente di
particolarmente nuovo nel paesaggio, ma poiché sentiva il bisogno di
liberare la mente dai pensieri tetri Detlef si impegnò ad osservare
con attenzione ogni cosa.
Il sentiero stesso, l'erba, gli alberi, il
cielo, gli insetti ed i sassi. Guadò il torrente e giunse ad una
piccola radura. Sul bordo della radura c'era un grosso ramo caduto di
recente, probabilmente durante l'ultimo temporale.
Gli aghi erano
ancora verdi e freschi. Il ramo era perfettamente dritto e aveva un
lungo tratto senza rami laterali. La corteccia era perfetta. Detlef
contemplò il ramo per alcuni minuti e per qualche ragione che non
riuscì a capire, ma la cosa non lo disturbò più di tanto dato che
la nuova idea che gli era venuta occupava quasi tutta la sua mente,
ad un certo punto pensò che avrebbe potuto intagliarlo e ricavare
una statua.
Tornò rapidamente a casa
e presa un'ascia tornò alla radura e liberò il pezzo di ramo che
gli serviva. Con qualche difficoltà lo caricò su una spalla e si
avviò lentamente verso casa. Dovette fermarsi varie vole a
riprendere fiato, ma alla fine scaricò il ramo nella rimessa degli
attrezzi sul bancone da lavoro che stava sul lato sotto la finestra.
Lo osservò ancora a
lungo.
Pensò al legno, alle sue
fibre, alle molecole di amido e agli atomi di carbonio, ai protoni,
ai neutroni e agli elettroni a tutto quel vuoto vertiginoso. Pensò
al vuoto della sua vita. A quelle poche frasi che ricordava di suo
padre: “E' un miracolo che io sia arrivato”. “Ho fatto cose che
non avrei voluto fare, ma quando devi sopravvivere il resto passa in
secondo piano”. “L'Africa è una terra incredibile”. Pensò a
sua madre così forte e decisa e poi così debole durante la malattia
che l'aveva consumata. A sua sorella così inquieta, alla sua nonna
adottiva così dolce. All'inutile carriera di contabile, alla fortuna
invece di poter fare il contadino.
Poi ritornò a pensare
alla statua che avrebbe ricavato da quel ramo.
Iniziò a intagliarlo da
una estremità fino ad abbozzare una testa di uccello, ma poi ad un
certo punto la testa diventò quella di un uomo, così proseguì con
le spalle e il busto umano, ma lì la figura iniziò ad assumere
fattezze femminili.
Allora Detlef tornò su e tentò di trasformare
la testa, ma ne uscì una testa di topo. Il corpo di topo riuscì
anche bene, ma Detlef si chiese che significato dovesse avere la
statua di un topo. Così distrusse la testa e ricominciò a lavorare
il corpo. Man mano che il lavoro procedeva nuove forme emergevano dal
legno e nuove idee si affacciavano alla mente di Detlef, talvolta
coerenti talvolta in contrasto con la sua opera.
Così Detlef
continuò a incidere cambiando via via il soggetto, ma finendo
inevitabilmente per ridurre le dimensioni del pezzo di legno fino a
ottenere una statuina piccolissima. Tutt'intorno c'era una montagna
di trucioli. Erano passati 3 giorni e 3 notti. A quel punto Detlef
trasformò la statuina in una piccola croce.
Non che Detlef fosse
particolarmente religioso, ma andava regolarmente in chiesa perché
amava la compagnia, i saluti e le chiacchiere dopo la cerimonia, i
canti e aveva simpatia per il pastore e la sua famiglia.
Ripulì e mise via la
piccola croce, che custodì poi per anni gelosamente nel cassetto dei
documenti più importanti.
Fu in quei giorni che
Detlef si rese conto che la sua fattoria produceva molto più di
quanto gli serviva, che ciò che guadagnava vendendo i prodotti in
eccesso finiva in gran parte per pagare carburante, sementi,
fertilizzanti, antiparassitari e dei soldi che metteva via non sapeva
che farsene.
Si rese anche conto che quel sistema di coltivazione
stava depauperando il terreno, la cui fertilità veniva mantenuta
sempre più artificialmente. In aggiunta Detlef non amava i rumori e
non aveva nessuna passione per la meccanica e le macchine.
Allora Detlef operò
un salto nel passato e convertì la fattoria con l'uso della sola
forza animale buoi e cavalli, del concime e dei residui culturali
come fertilizzanti, di sementi autoctone autoprodotte, di
antiparassitari naturali come infusi di erbe.
Le produzione
diminuirono drasticamente, ma restarono ben al di sopra del livello
di autoconsumo. Barattava qualcosa con vestiti o con qualche attrezzo
che gli serviva, vendeva qualcosa per pagare la boletta delle luce e
così via. Ma gli restava sempre qualcosa. Così Detlef decise di
regalare tutti i prodotti che non gli servivano alla mensa dei poveri
che il pastore e sua moglie avevano istituito.
Queste scelte in breve
resero Detlef molto popolare. La usa fattoria diventò meta di visite
scolastiche che offrivano a scolari e studenti la possibilità di
visionare i metodi dell'agricoltura del passato e di gustarne i
prodotti che Detlef volentieri offriva loro.
Una grossa svolta fu il
conoscere una giovane coppia di emigrati polacchi che si erano
impiegati come lavoratori agricoli in una grossa fattoria della zona.
L'entusiasmo dei giovani
per le sue scelte e il ricordo della vecchia nonna adottiva che gli
aveva accolti, prima di quando lui potesse ricordare, ma da cui aveva
ereditato la fattoria, lo spinse di offrire ai giovani di condividere
con lui la fattoria.
Detlef nell'arco di una decina d'anni
divenne nonno di 5 nipotini. Insieme alla sua nuova famiglia
sperimentò nuove tecniche culturali e fece entrare la fattoria in un
circolo di agricoltura condivisa.
Diventò così un esempio
di decrescita, anche se la sua ostinazione a non rinunciare ai
consumi di carne gli procurò qualche critica e antipatia.
Un giorno Detlef decise
di seppellire la statuetta nel bosco proprio nella radura dove stava
l'albero da cui era stata tolta e disse:
“ora anch'io sono
pronto a tornare alla terra in santa pace”
E anche noi gli
auguriamo, quando verrà la sua ora, di andarsene in pace.
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