C'era una volta un mago che si
chiamava Lon e viveva in una casa che si chiamava Nead. Dove fosse
questa casa non è facile a dirsi, perché la casa era protetta da
una fitta rete di incantesimi che la rendeva per lo più invisibile o
la faceva apparire sotto false sembianze. Di sicuro la casa si
trovava vicino o forse proprio dentro un bosco di abeti al cui
margine c'era un'ampia radura, raggiungibile per mezzo di una comoda
strada e dotata di una piacevole area pic nic.
Un giorno di inizio primavera
una famigliola si recò lì proprio per un pic nic. Erano da soli,
perché, data la stagione, era un po' presto per mangiare all'aperto
e le previsioni meteo non erano incoraggianti, ma in realtà era
uscita una giornata proprio gradevole così si accomodarono su un
tavolo ai margini del prato e mangiarono di gusto le buone cose che
avevano preparato la sera prima e quelle che avevano cotto sulla
griglia il giorno stesso. Parecchi uccellini cinguettavano tra i rami
degli alberi e dei cespugli, ma uno in particolare li stava
osservando attentamente.
Poi, dopo mangiato, mamma e
papà furono presi, improvvisamente e alquanto insolitamente, da un
grande torpore e si stesero su una coperta per fare un sonnellino
ristoratore.
I due bambini per non
disturbare i genitori, decisero di allontanarsi un po' andando ad
esplorare la radura. La sorella maggiore Lilli aveva con sé il suo
orsetto di peluche Giangiovanni e se lo teneva ben stretto per
evitare i soliti scherzi del fratellino Mofi, che era un anno più
giovane, ma non aveva mai amato i peluches e detestava in particolare
Giangiovanni forse solo per gelosia, dato che la sorella gli dedicava
molte attenzioni e molto tempo.
Arrivati al margine della
radura un uccello nero con il becco giallo volò loro intorno alcune
volte poi si fermò davanti a loro e saltellò verso il bosco. Si
fermò tornò verso i bambini e poi saltellò di nuovo verso il
bosco. I bambini incuriositi cominciarono a seguirlo ed imboccarono
dietro di lui un sentiero che entrava nel bosco.
Man mano che si allontanavano
dalla radura, il bosco si infittiva, ma i bimbi presi dal gioco di
seguire l'uccellino non se ne avvidero. Ad un certo punto Mofi pestò
una grossa vescia da cui uscì una strana nuvola di fumo violetto che
profumava di cioccolato e avvolse completamente i bimbi.
Dopo qualche istante la nuvola
si diradò e Lilli e Mofi si guardarono intorno stupefatti: erano su
un ampio sentiero in mezzo ad un giardino con aiuole di fiori e di
fronte a loro vi era un laghetto con un ponte che lo superava e
dietro una grande casa.
Lilli per lo stupore lasciò
cadere Giangiovanni a terra mentre Mofi impaurito le prendeva la
mano.
I due si guardarono senza
sapere cosa dire, quando sentirono una vocetta che diceva:
“Che bello che è qui e che
bella casa, andiamo a vedere cosa c'é lì dentro”.
Ed ecco una nuova sorpresa
ancora più incredibile: davanti a loro saltellava Giangiovanni
“Dai Lilli andiamo”
riprese a dire il pupazzo.
“Ma tu parli” balbettò
Lilli.
“Ma certo! Che novità è?
Forse di solito però tu non mi badi o nemmeno mi senti, ma io parlo.
Ma adesso andiamo alla casa. Dai Mofi”
Lilli non era affatto convinta
e Mofi, che già non aveva simpatia per Giangiovanni, trovava la sua
vocetta alquanto antipatica e il suo modo di saltellare continuamente
gli dava già sui nervi.
I bambini si guardarono
indietro, ma non c'era più traccia del posto in cui si trovavano
poco prima ne si intravvedeva alcun sentiero per uscire da lì. Così
da un lato non potevano tornare indietro, come avrebbero voluto,
dall'altro erano anche curiosi di vedere il giardino e la casa e così
si avviarono dietro a Giangiovanni che trotterellava svelto svelto.
Il giardino era molto bello,
pieno di fiori e piante dai mille colori e dai dolci profumi, ma
niente di conosciuto e niente che sembrasse neanche lontanamente
commestibile.
Arrivarono così al portone
della casa. Un enorme portone intarsiato. Giangiovanni lo spinse come
niente fosse ed entrò. Lilli provò a spingere il portone e si
accorse che era leggerissimo.
”Strano,” pensò “un
portone così grosso e così leggero.”
Al centro dell'atrio un'ampia
scalinata portava ad un soppalco.
“Per di qua” disse
Giangiovanni e cominciò con dei ridicoli saltelli a salire. I bimbi
lo seguirono in cima e videro che sul muro di fronte alle scale c'era
l'entrata di uno scivolo.
“Wow” disse Giangiovanni “
sembra proprio bello”
I bambini erano un po'
perplessi, perché non si potava assolutamente capire dove portasse
lo scivolo.
“Vado avanti io” squittì
il pupazzo e si infilò nel buco sparendo alla vista dei bimbi.
“Yuhu”
gridava
mentre scendeva
e poi dopo
una breve pausa “è
bellissimo qua, ci sono tantissimi giochi, venite”.
“Andiamo?”
chiese Mofi.
“Sì”
rispose la sorella, che
era curiosa ma
sempre piuttosto
titubante.
Mofi
entrò
e sparì a
sua volta nel
tunnel.
“Tutto a posto” urlò
dentro il tubo la bimba.
Mofi
voleva
quasi dire “Sì,
è bello
ed
è
pieno
di giochi”, ma gli seccava dare ragione a Giangiovanni.
Così
si limitò a dire
“Sì, Vieni anche tu”.
Lilli
entrò
nello scivolo
che
attraversava
la parete e poi proseguiva
su
un tubo sospeso per aria che si interrompeva
bruscamente facendola cadere in una specie di grossa cesta che
penzolava appesa attraverso quattro catene al soffitto.
Il pavimento di
sotto sembrava
parecchio lontano come
anche il soffitto, mentre
lo scivolo era poco più sopra di
loro,
ma comunque fuori portata.
Mofi
stava già giocando, Lilli
invece non era affatto contenta di essere appesa là in alto e che
Giangivanni
si muovesse e parlasse continuava a renderla
molto inquieta.
Giangivanni intanto si era
messo buono in un angolo e Lilli decise di rilassarsi un po' giocando
con il fratellino. Ben presto però si stufò e si sentiva pure
stanca.
“A
me questo posto non piace per niente. Voglio andarmene disse Lilli.
“Neanche
a me piace per niente voglio andarmene “ripeté
subito Mofi,
che si sentiva anche lui molto stanco e che, come sempre al primo
accenno di sonno, cominciava ad avere nostalgia della mamma.
Giangiovanni propose di
riposarsi, fare un pisolino e insisteva nel dire che lì si stava
benissimo, ma poiché i bimbi non gli davano più retta concluse:
“Comunque è impossibile
andarsene senza una scala per scendere”. Mofi prese il primo
giocattolo che gli capitò tra le mani e lo gettò con rabbia giù di
sotto.
Subito si sentì il rumore del
giocattolo che si fracassava al suolo. Lilli si accorse che il suono
era arrivato praticamente subito, troppo presto rispetto alla
distanza che sembrava avere il pavimento. Guardò giù: il salto
sembrava enorme. Prese allora un telefono di quelli con le ruote e
gettò giù la cornetta. Subito questa arrivò a terra. Ma il
telefono era ancora in mano a Lilli e il cavo era corto. “Sembra
alto, ma non lo è” ridacchiò soddisfatta Lilli, quindi si
arrampicò sul bordo del cestone e aiutò anche Mofi a salire.
“No, no, non saltate è
altissimo vi sfracellerete!” strillava Giangiovanni, ma i bimbi
fecero un balzo e in un attimo furono a terra senza farsi
assolutamente nulla. Il nido sembrava altissimo lassù, ma allungando
le mani essi potevano toccarlo, mentre le loro braccia sembravano
diventare lunghe decine di metri.
“Che ridere” disse Mofi
continuando a tirare su e giù il braccio a toccare il nido. Ma
Lilli, che aveva deciso definitivamente che la situazione era davvero
troppo assurda, che nulla quadrava in quel posto e che dunque ogni
sorpresa era possibile, anche le più brutte, lo prese per mano e lo
tirò dicendo:
“Vieni dobbiamo andarcene
subito di qua”.
Mofi, che voleva tornare da
mamma e papà, non poteva essere più d'accordo e capiva anche che la
sorella era preoccupata e sapeva che in queste cose lei finiva per
avere sempre ragione.
In quel momento rispuntò
fuori Giangiovanni
“aspettatemi, aspettatemi.
Fermiamoci un po’ qui a riposare”.
“No” disse Lilli, che
ormai detestava Giangiovanni più di quanto non lo odiasse Mofi
“come hai fatto a scendere
senza scala?” gli domandò ironica.
“Potevi anche restare su”
soggiunse Mofi.
“Va beh allora andiamo”
disse Giangiovanni conciliante e lì seguì.
Usciti dalla stanza si
trovarono in un corridoio che a prima vista sembrava interminabile e
incominciarono a percorrerlo. Ad un certo punto al posto del
pavimento c'era solo acqua.
“Di qui non si passa”
sentenziò subito il pupazzo “torniamo indietro”
“No, noi sappiamo nuotare
perfettamente” ribattè Lilli, al che Mofi urlando “Evviva” si
gettò a piedi pari nell'acqua. Invece che un tuffo in una piscina
però risultò un salto in una pozzanghera profonda appena qualche
millimetro, un velo d'acqua che arrivava a stento a bagnare le suole.
“Uffa” sbottò Mofi “Addio
bagno”.
Così avanzarono ancora, ma da
lì a poco la luce cominciò ad affievolirsi e davanti a loro il
corridoio diveniva del tutto tenebroso. Dietro di loro invece si
vedeva la luce.
“Torniamo indietro” ripetè
speranzoso Giangiovanni, ma Mofi lo brandì come fosse un bastone da
ciechi e disse alla sorella: “Andiamo”
“Ottima idea” ridacchiò
lei “Bravo!”
Giangiovanni emetteva dei
piccoli rantoli, ma in breve avanzando a passo spedito e senza
trovare ostacoli il corridoio tornò luminoso e Mofi lo mollò per
terra. Dopo un altro po' di cammino iniziarono a sentire dei rumori
strani come di belve ringhianti, ruggenti e soffianti con urla acute
di uccelli e videro delle grosse belve stranissime e confuse che
avanzavano verso di loro. I bambini rimasero impietriti, mentre
Giangiovanni gridava
“Scappiamo, scappiamo”.
Ma i bambini sul principio non
riuscivano a muoversi per lo spavento poi incominciarono ad
infastidirsi perché Giangiovanni oltre a ripetere in modo petulante
di andare li tirava per le maglie.
“Zitto tu” gli intimarono
e fissarono coraggiosamente le assurde e spaventose creature che
avevano di fronte.
“Avanzano, avanzano, ma non
arrivano mai” osservò Lilli.
“E' un altro trucco?”
buttò lì Mofi.
“Di sicuro” rispose Lilli
“Attacchiamo”.
Ancora una volta a Mofi non
parse vero di accogliere la proposta della sorella e si slanciò in
avanti urlando: “All'attacco!”
Ma appena raggiunsero le belve
queste svanirono dissolvendosi nell'aria insieme ai loro versi.
I bambini proseguivano sempre
più sicuri di sé, ma a quel punto il corridoio iniziò a girare,
poi trovarono un bivio ed un altro ed un altro.
Il pupazzo li seguiva in
silenzio, Ad un certo punto Lilli si fermò. Guardò Giangiovanni e
disse:
“Va avanti tu”
“Va bene” il pupazzo
obbedì e si incamminò prendendo il passaggio a sinisitra. Lilli
lasciò cadere a terra una forcina per capelli e lo seguì. Poco dopo
ritrovarono la forcina. Ripresero il cammino e Lilli intimò a
Giangiovanni di prendere il passaggio a destra, ma dopo poco Lilli
rivide la sua forcina.
“Lo sapevo” sbottò,
“siamo in un labirinto”.
Mofi sferrò un calcio al muro
e lo sfondò aprendo un piccolo buco.
“Qui è tutto finto”.
Esclamò Lilli “Anche i muri” e incominciò a demolire le pareti
a calci e pugni subito spalleggiata da Mofi. In breve le pareti del
labirinto furono frantumate si ritrovarono nel solito corridoio.
Continuando ad avanzare
trovarono una porta su un lato. La aprirono e videro cinque
vecchietti che si muovevano lentissimamente, troppo lentamente. Lilli
pensò che anche se erano vecchi non potevano muoversi così
lentamente, dunque probabilmente era la stanza che li rendeva lenti,
forse solo in apparenza, ma era meglio non rischiare entrando
denltro.
“Andiamo” disse Lilli.
L'avanzata lungo il corridoio
era molto strana, perché con alcuni passi sembrava di fare decine di
metri con altri pochi millimetri, a volte sembrava addirittura di
tornare indietro.
Trovarono un'altra porta e
sbirciando dentro videro cinque vecchietti che si muovevano
freneticamente. “Troppo veloci” pensò Lilli, di nuovo la stanza
era stregata meglio stare alla larga.
“Avanti” disse Mofi.
Lilli annuì e si incamminarono.
Dopo un po' dentro un'altra
stanza cinque vecchietti erano come congelati. “Sono sempre gli
stessi” sussurò Lilli. Li guardò sempre restando sulla soglia poi
proseguirono fino ad incontrare un'altra porta di un'altra stanza
dove i soliti vecchietti si muovevano finalmente normalmente, ma
avevano un'espressione così triste che veniva voglia di scappare.
“Andiamo” disse Giangiovanni. “Restiamo” ribatte Lilli e
soggiunse rivolta a Mofi “Non ti muovere”. “Che facciamo fermi
qui, entriamo” sibilò il pupazzo. “no” disse Lilli. “Volete
restare fermi qui per sempre” quasi strillava Giangiovanni che
stava evidentemente perdendo la pazienza. “Basta” intimò Lilli.
“Mofi, pensaci tu a lui, come quella volta sul tavolo del
giardino”. Mofi capì al volo, estrasse la fionda di tasca e veloce
come un lampo colpì Giangiovanni in piena fronte. Il pupazzo cadde e
Mofi gli saltò sopra con un piede e con la mano gli tirò la testa
fino a staccarla. Si sentì un urlo tremendo e un lampo di luce li
abbagliò per un attimo. Poi videro un uomo con la faccia torva che
sibilò “Maledetti”. Intanto tutto intorno a loro ogni cosa era
cambiata. Si trovavano dentro una specie di ampia capanna con dei
paraventi sparsi qua e là e al posto dei cinque vecchietti c'erano
cinque ragazzi che si stropicciavano gli occhi e si sgranchivano le
articolazioni delle gambe e delle braccia sorridendo e dandosi pacche
di gioia l'uno con l'altro.
Mentre ragazzi esultavano, il
mago nel frattempo sembrava invecchiare ad ogni istante finché,
prese le sembianze di un uccello grigio, si diede alla fuga. I
ragazzi spiegarono che il mago si nutriva dell'energia dei giovani
facendoli invecchiare per rimanere lui giovane per sempre.
Uscirono dalla capanna, i
ragazzi montarono sulle loro biciclette che erano parcheggiate lì
dietro e dopo aver ringraziato infinitamente Lilli e Mofi se ne
andarono lungo il sentiero nel bosco.
Lilli e Mofi invece nella
direzione opposta seguendo con lo sguardo il sentiero intravidero la
radura, che subito raggiunsero. Riattraversarono di corsa il prato e
tornarono al tavolo del pic nic accanto a cui i genitori proprio in
quell'istante iniziavano a ridestarsi.
Era già sera e mamma e papà
si stupirono molto nel vedere come fosse ormai l'imbrunire e chiesero
ai figli cosa avessero fatto tutto quel tempo.
“Abbiamo esplorato il bosco”
risposero.
“Ma non era pericoloso”
chiese la mamma.
“No c'era solo un uccello
buffo, nero con il becco giallo, che ci svolazzava intorno, ma lo
abbiamo scacciato via” risposero allegramente i bimbi.
Rqccolsero le loro cose per
prepararsi a tornare a casa e appena prima di partire la madre si
accorse della mancanza di Giangiovanni e chiese a Lilli dove fosse.
“L’ho buttato”.
“Buttato?” la madre era
allibita
“Sì Mofi l’aveva rotto,
ma ha fatto bene, tanto non mi piaceva più, mi ero proprio stufata
di lui, ormai sono grande”.
Mofi ridacchiava “Anch'io
sono un po' grande adesso”.
I genitori erano sbalorditi,
ma in fondo compiaciuti e divertiti delle dichiarazioni dei bimbi.
Poi salirono tutti in macchina
e tornarono a casa.
E il mago? Lilli e Mofi non lo
rividero mai più e neppure noi ne sappiamo nulla, ma probabilmente
starà costruendo un'altra casa da qualche parte.
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