domenica 18 settembre 2011

ORAZIONE FUNEBRE


Don Mansueto passeggiava su e giù tra la stufa calda e la finestra appannata. Di tanto in tanto si massaggiava il mento come era solito fare quando era nervoso. Per fare questo si passava il breviario dalla mano destra alla sinistra per poi ripassarselo tra le due mani. Ormai da un pezzo aveva rinunciato a leggere. Con la mano sentiva l'ispido della barba mal rasata. Non per incuria, ma per la scarsa qualità dei rasoi che comprava per risparmiare e utilizzare i soldi per i più bisognosi. La pelle del suo viso era dura, temprata dal freddo, come succede alla gente di montagna all'approssimarsi dell'età della pensione. L'odore era lo stesso odore di fumo di legna che pervadeva la cucina, locale in cui in pratica l'anziano sacerdote passava l'inverno. Era sempre stato freddoloso, data la sua corporatura longilinea e la sua origine marinara, ma con l'avanzare degli anni in quello sperduto paese di alta montagna le cose erano peggiorate, anche perché gli inverni stessi erano divenuti più lunghi e rigidi.
Al cruccio della morte improvvisa di un parrocchiano che era per lui anche un amico si aggiungeva il tormento di dover decidere la predica per il rito funebre.
Lo scandalo in paese era stato enorme. Lorenzo Schiocchet era il farmacista del paese e inoltre era da sempre membro del Consiglio Pastorale e dirigente dell'opera caritativa San Vincenzo De Paoli. Era una persona stimata e onorata. Era anche felicemente sposato da venticinque anni e padre affettuoso di quattro figli due maschi e due femmine tra i 22 e i 14 anni. Nessuno in paese e nemmeno nella sua famiglia avrebbe mai immaginato che una cosa simile potesse capitare a lui. Solo Don Mansueto, come confessore, conosceva il segreto che da alcuni mesi tormentava la coscienza dell'amico, riempiendo al contempo la sua vita di gioia.
Lorenzo fin da bambino era stato buono e tranquillo e l'educazione che aveva ricevuto aveva esaltato le sue naturali inclinazioni caratteriali. Prima i genitori, poi il parroco, infine gli insegnanti del liceo privato annesso al seminario diocesano, che aveva frequentato, gli avevano insegnato che la vera gioia non è nel ricevere, ma nel donare.
Ed egli aveva sperimentato la veridicità di tale affermazione in prima persona votando la sua vita al servizio del prossimo. Dopo la laurea in farmacia aveva fatto i 2 anni di volontariato all'estero all'epoca alternativi al servizio obbligatorio di leva. Poi si era dedicato alla famiglia e al lavoro, che per un farmacista di un piccolo centro di montagna è forse più gratificante, ma anche più impegnativo di quanto non sia per un collega cittadino. E non aveva certo trascurato la comunità, che aveva servito in vari ruoli, da quello di volontario della protezione civile a quello di assessore comunale, da quello di consigliere pastorale parrocchiale a quello di semplice amico. Amici ne aveva tanti. In quel paese era cresciuto e si era fatto volere bene da tutti.
Nastascia Vladic era arrivata dalla Slovacchia un anno prima come badante della signora Irma per volere del figlio che abitava a Milano. La signora Irma, vedova Burigo, aveva superato non senza un generale appannamento un leggero ictus. Il figlio però non si fidava più a lasciarla sola, non poteva raggiungerla per motivi professionali, né era riuscito a convincerla a lasciare il paese natio in cui aveva trascorso tutta la sua vita.
Nastascia era giovane, dolce e premurosa e non aveva faticato ad entrare nelle grazie della vecchina. Aveva in realtà fatto breccia in molti cuori nel paese. Era infatti una bellissima ragazza, con un fisico da star del cinema e un volto angelico. Ma nessuno dei pochi giovani era riuscito a far colpo su di lei che restava fedelmente al fianco della sua assistita tutte le sere e si concedeva oltre alle uscite di servizio, per fare la spesa e le altre commissioni solo delle brevi passeggiate domenicali nei boschi. Non frequentava la Chiesa non essendo neppure battezzata, ma Don Mansueto stava cercando di convertirla. La ragazza si mostrava disponibile ad ascoltare, ma non mostrava grande entusiasmo per la cosa.
Già da diversi anni, da quando era rimasta vedova, Lorenzo, che era stato grande amico del figlio e poi con l'attenuarsi delle differenze generazionale al crescere dell'età di entrambi amico della stessa Irma, era solito andarla a trovare spesso e aveva intensificato le visite dopo la malattia. Nessuno in paese perciò prestava attenzione alle frequenti visite del farmacista in casa dell'anziana signora.
Ma negli ultimi mesi le visite nella casa avevano come obiettivo la giovane badante. Tra i due dopo poche settimane di frequentazione era scoccata la scintilla e ora i due approfittavano delle frequenti lunghe dormite della signora Irma per appartarsi nella camera della giovane.
E nel letto di Nastascia un arresto cardiaco aveva stroncato la vita del farmacista. Il referto del medico legale aveva confermato l'ipotesi che i carabinieri avevano già formulato visto ciò che avevano potuto constatare. Il cuore di Lorenzo aspettava solo uno sforzo particolare per fermarsi per sempre.
La vedova Schiocchet, con i due figli più piccoli, aveva raggiunto a Torino, dove studiavano, i due figli maggiori alla vigilia del funerale, non senza qualche perplessità da parte dei figli, che però avevano saggiamente reputato più importante stare vicino alla madre in un momento così difficile che onorare la memoria del padre, pure al momento così deprezzata, essendo comunque ormai solo una memoria.
Nastascia era arrivata dal suo paesino di campagna assieme ad una altra mezza dozzina di ragazze tutte carine se non decisamente bella. E lei era senza dubbio la più dotata sia fisicamente sia intellettivamente. L'agente, per non dire il trafficante di bianche, che le aveva reclutate le aveva condotte a Milano, dove abitava Corrado Burigo, manager di una grossa azienda meneghina con svariate succursali esteri.
Il figlio della signora Irma era da poco ritornato in Italia dopo un lungo giro di affari in Asia ed era andato a farsi un paio di birre alla sua birreria di fiducia. Si era seduto in fondo al bancone nel suo solito posto con la testa persa nel problema di trovare una badante alla madre, ma era stato subito distratto dalla scoperta della nuova cameriera.
"Ciao ingegnere" aveva detto Mario, il proprietario e gestore della birreria "ben tornato, sei stato via un bel po' questa volta"
- ciao oste, come te la passi?
- bene, ma sempre qua, io, tu invece dove sei stato di bello?
- in tanti posti, troppi forse, ma di ragazze belle come la tua nuova cameriera non ne ho mica viste!
- Nastascia ! Si nota subito eh ?- aveva ribattuto con grande allegria - in effetti più di uno si beve una birra in più solo per restare a rimirarsela un po'
- Ci credo, ma dove l'hai trovata?
- qui alla discoteca
- in discoteca ? non ti facevo un discotecaro
- no infatti, ci sono andato solo per bere qualcosa, io chiudo e loro aprono, appena aperto è ancora tranquillo ed è il posto più vicino in cui bere un bicchierino a quell'ora e io avevo bisogno di rilassarmi un attimo prima di andare a dormire, sai com'è?
- si lo so, prima dell'alba a te non viene sonno
- beh più o meno, comunque lei era lì al bancone che serviva e io gli chiedo una sambuca con mosca e ghiaccio. Lei mi guarda inorridita e mi fa: tu vuoi una mosca in sambuca? Così sono scoppiato a ridere, poi ci siamo messi a parlare e alla fine le ho proposto di venire a lavorare da me ed eccola qui.
In effetti la storia era sostanzialmente questa. Mario aveva spiegato che mosca significa chicco di caffè e Nastascia avevo sorriso sollevata.
- meno male, per me prendere mosca era difficile, ma per te bere era bleah.
Quando era tornata con la sambuca Mario si era buttato.
- da quanto lavori qua
- un po' di mesi
- e ti piace?
- qui è meglio di là - aveva risposto guardando verso i cubi.
In effetti sui cubi non c'era mai salita, era riuscita subito e nonostante le proposte del suo "agente" slovacco a chiarire con il proprietario del locale che lei non voleva ballare e quello vuoi perché era di luna buona quel giorno vuoi perché le era piaciuto il coraggio oltre che l'aspetto della ragazza, l'aveva assunta come cameriera di sala. Prima aveva solo raccolto i vuoti, poi era passata a servire i tavolini e infine aveva raggiunto il bancone. Una carriera rapida, ma senza ulteriori prospettive.
- anch'io ho un bar, ma molto più tranquillo, potresti venire a lavorare da me
Nastascia aveva già dato una confidenza inusuale a quell'uomo sia per la situazione divertente, sia per l'orario insolito e l'atmosfera rilassata, sia perché gli ispirava fiducia, con il suo faccione tondo, il sorriso cordiale e la voce calma, ma quell'offerta improvvisa l'aveva lasciata per un attimo basita. Poi come suo solito aveva riassemblato velocemente le idee. Era una possibilità da valutare con prudenza, ma da valutare - dimmi nome di tuo bar e dammi l'indirizzo.
Così un paio di giorni dopo lei era andato a veder il locale, aveva trovato Mario,avevano parlato di paga, orari, permesso di soggiorno e di alloggio. E quando Mario aveva offerto il mini appartamento nel palazzo di fronte, a prezzo di favore, perché tanto lui da quando era sposato preferiva andare a dormire a casa, anche se era un po' lontana, lei aveva accettato.
- e tua moglie? - Aveva ridacchiato Corrado
- sospettosa, Mario, sospettosa
- vuoi dire gelosa?
- e diciamo gelosa, ma tanto non so quanto resterà qua.
- perché ha nostalgia di casa? A proposito non mi ancora detto da dove viene
- è slovacca
- e vuole ritornarci ?
- no qui guadagna bene, credo che mantenga tutta la famiglia con i suoi risparmi, è che lei viene dalla campagna e qui a Milano proprio non ci si vede.
- ma dai!
- che c'è di strano?
- no , sai è che oggi mi ha telefonato un amico, che è anche farmacista e segue mia madre al mio paese e mi ha detto che bisognerebbe trovarle una badante, volevo proprio chiedere a te, che conosci tanta gente, ma adesso … il fatto è che mia madre vive in un piccolo paese di montagna in mezzo alle Dolomiti.
- Ghe sboro sei Veneto?
- Bellunese, mica veneziano, ma tanto ormai ho perso l'accento da anni.
- E sì ormai sei proprio milanese
- allora a vederla così, sembra un angelo …
- Accidenti a te, me la vuoi portar via! Però sì in effetti è proprio un ragazza tranquilla, volonterosa, riservata, gli affiderei anch'io mia madre, se fosse ancora viva. E credo che anche Nastascia potrebbe essere contenta
- e anche tua moglie
- ma va a da via i ciapp! Nastascia, vieni qui un attimo per favore.
La trattativa era andata bene. Nastascia aveva già assistito una vecchia nonna e la dolcezza del suo carattere era palpabile, aveva già perfezionato il suo italiano, sembrava perfetta. Da parte sua Nastascia, che anelava ad una vita più tranquilla, anche più solitaria, purchè più vicina alla natura, aveva accettato volentieri di lasciare la città tentacolare per il paesetto di montagna e il locale pubblico per la calma di una casa privata.
Così una settimana più tardi era partita con Corrado verso la montagna veneta.
La madre di Corrado l'aveva accolta con esultanza:
- finalmente ti sei trovato una fidanzata e proprio carina, molto molto carina
- ma no mamma non è la mia fidanzata
- ma se non ti sposi con una così bella figliola allora non c'è proprio speranza - e lo aveva guardato bieca, con uno sguardo che lui ben conosceva.
- eh dai, quante volte devo ripeterti che non sono omosessuale.
- va beh, va beh
La signora Irma come spesso accade non era per nulla curiosa di sapere della ragazza, ma ansiosa di parlare di sé e del suo passato e la ragazza sapeva ascoltare.
Nel fine settimana e nel lunedì successivo, che Corrado si era preso per verificare il buon esito dell'operazione badante, Nastascia aveva conquistato la vecchia signora a tal punto che quando il figlio l'avvertì che lui partiva, ma la ragazza sarebbe rimasta, la madre sbottò - e vorrei ben vedere che te la portassi via, o te la sposi o non esce da questa casa.
Il farmacista passava ogni giorno a trovare la signora Irma e le somministrava le varie pastiglie di cui abbisognava. Già in precedenza, prima dell’ictus, passava spesso a trovarla essendole legato per via dell’amicizia infantile e giovanile con il figlio, adesso che era divenuta meno lucida, diabetica e cardiopatica aveva intensificato i controlli nel timore che scordasse di prendere le medicine. Dopo la visite in genere utilizzava il tempo rimastogli prima di aprire la farmacia per il turno pomeridiano per una passeggiata nel bosco. La casa della signora Irma era l'ultima casa del paese e un sentiero attraversava un campo sfalciato per poi inerpicarsi sul pendio alberato
Naturalmente Lorenzo aveva notato subito la bellezza della ragazza, ma non aveva nemmeno immaginato di potere essere interessato a lei. Aveva più o meno l’età dei suoi figli e soprattutto lui si era preoccupato di studiare la sua efficienza come badante pensando poi di rarefare anche le sue visite.
Poi piano piano i suoi modi gentili e l’affetto che aveva presto dimostrato per la vecchina, la sua riservatezza e un certo acume che dimostrava nei suoi rari e brevi discorsi avevano incominciato a far nascere in lui una profonda simpatia. E quasi altrettanto si può dire di lei per lui.
Le prime conversazioni avevano poi rivelato una certa concordanza di pensieri ravvivata dalla diversità di cultura, di età, di sesso.
Poi un giorno quasi per caso e improvvisamente lui aveva scoperto il profumo della sua pelle. Lì era scattato qualcosa nel suo cuore, nel suo cervello, sebbene lui stesso non se fosse reso subito conto. Così un po’ alla volta aveva scoperto di essersi innamorato, lei lo aveva subito capito nonostante il suo tentativo di dissimulazione e le cose erano presto precipitate. Le visite alla signora Irma ormai sempre più spesso addormentata si erano trasformate in incontri d’amore appassionato.
Il farmacista ne aveva subito parlato con l’amico Mansueto in confessione. Sapeva di agire male se ne vergognava, si dispiaceva per la moglie che continuava ad amare e per i figli, per la stessa Nastascia che non poteva certo avere un futuro adeguato dalla relazione con un uomo sposato. Si proponeva di interrompere quella folle relazione, ma non vi riusciva. Era innamorato come un ragazzino.
Lo stesso Don Mansueto non aveva saputo trovare argomenti migliori di quelli che l’amico stesso avanzava contro sé stesso e aveva anzi in un angolo del suo cuore apprezzato la forza del sentimento nato tra i due, pur avendo cercato di aiutare l'amico a cavarsi da quell'impiccio. Ma ora di fronte a quell’evento inopinato doveva prendere una posizione pubblica non più come amico e sacerdote, ma come pastore della sua comunità.
La pendola suonò e scosse Don Mansueto dai suoi pensieri. Era ormai ora di raggiungere la chiesa. Si intabarrò bene e a passi veloci attraversò la piazzetta che separava la canonica dalla sagrestia. Il vento era gelido e a tratti violento. Il sagrestano era già al suo posto. "Buon giorno padre". "Buon giorno Ignazio, buon giorno". "La chiesa sta già riempiendosi" "Bene bene" Rispose con scarso entusiasmo e convinzione. Ma se lo aspettava. Tutti volevano sapere qualcosa di più su quell'avvenimento così sconvolgente. E non si trattava di semplice curiosità, ma del bisogno di ritrovare un orientamento dopo un trauma, per questo tutti guardavano al parroco, che era un'indiscussa autorità morale, non tanto per l'abito che portava, quanto per la vita veramente da santo che conduceva, in virtù del totale disinteresse personale, dell'amore per gli altri e della serenità e semplicità dei suoi comportamenti. Il prete da parte sua non ragionava in questi termini, le parole valevano per lui più dell'esempio. L'emozione era grande per tutti, dunque era un momento favorevole per fare passare dei messaggi forti. Don Mansueto se ne rendeva conto e per questo sentiva la responsabilità di non sprecare una simile occasione. Per il bene delle anime dei suoi parrocchiani.
Arrivò la bara e il funerale iniziò regolarmente, ma il clima non era improntato alla consueta mestizia, ma vi era un'attesa gravida di tensione. E finalmente giunse il momento del sermone. Don Mansueto si mise di fronte al microfono. Si schiarì la voce, passò in rassegna nella scarsa luce della chiesa i volti sgomenti dei suoi fedeli che la gremivano. Deglutì e poi iniziò, parlando come di sua abitudine a braccio:
"La morte è sempre un momento triste e difficile, che ci pone di fronte ai dilemmi dell'esistenza. La speranza della vita eterna, attenua, ma non cancella il dolore di perdere la compagnia di una persona cara. E Lorenzo era per me, ma so di certo anche per molti di voi, un caro amico. Tutti noi ricordiamo la sua gentilezza, la sua generosità e la sua affabilità, il suo zelo e il suo impegno di uomo e di cristiano nella vita della nostra comunità, la sua competenza professionale nel difficile ruolo di farmacista. Penso che ciascuno di noi possa attingere nella sua memoria vari episodi che attestano tutto ciò. Permettetemi però di ricordarlo qui soprattutto come amico e come padre di famiglia. Un amico sempre pronto e disponibile, un amico sempre interessante e stimolante. Un padre e un marito che in tanti anni nulla ha fatto mancare alla sua famiglia e che io sempre ho considerato esemplare. E ancor oggi lo ribadisco: Lorenzo è stato un marito e un padre esemplare."
A Don Mansueto parve di vedere ondeggiare i suoi parrocchiani e l'impressione non era lontana dal vero.
"Ma" e qui fece ad arte una breve pausa "Ma la sua morte, non nascondiamocelo non è sta in linea con la vita virtuosa che noi abbiamo conosciuto. La speranza che noi abbiamo è che il Signore abbia concesso a Lorenzo il tempo di chiedere perdono, perdono che nella sua immensa misericordia Dio mai nega ai peccatori. Ma la luce sinistra del peccato che avvolge le ultime ore di vita di Lorenzo, di un uomo così retto, devono essere per noi un grave monito. Nessuno, nemmeno il più giusto degli uomini è libero dal rischio del peccato. Il diavolo è sempre in agguato pronto a ghermirci con le sue tentazioni. Solo Cristo l'unico vero giusto può preservarci da esse. Perciò preghiamo per noi e per Lorenzo."
La voce grave, tremò per un attimo sotto il peso dell'emozione e della commozione nel pronunciare il nome di Lorenzo. Avrebbe voluto urlare: "Lorenzo è di sicuro in paradiso, perché nel suo grande amore, il Signore non può averlo perso così, al termine di un'intera vita al suo fianco". Ma aveva deciso per la sferzata educativa e per di più ora le forze gli venivano meno.
Il prete si girò e iniziò a salire i gradini dell'altare, ma all'improvviso un dolore acuto lo fece fermare. Vacillò e poi stramazzò a terra stroncato a sua volta da un infarto. Nessuno osava muoversi dal suo posto. Solo il sagrestano corse verso il suo parroco. Lo scosse poi alzò il viso sconsolato. Il maresciallo dei carabinieri, che stava al terzo banco, arrivò in quel momento. Tastò il collo di Don Mansueto poi si alzò e scosse la testa. Un brivido passò lungo la chiesa e un attimo dopo un pensiero balenò nella testa di tutti i presenti: di quale peccato si era dunque macchiato Don Mansueto perché Dio lo abbattesse così?
Don Mansueto però già conosceva la risposta a quella falsa domanda. Già in quel momento infatti rivedeva tutta la sua vita, poi le vite precedenti con l'evoluzione del suo Karma sempre più libero dall'inganno delle passioni terrene e ora alla fine, alla fine di quest'ultima vita da santo curato, del tutto libero dall'inganno di Maya era riconfluito in Dio, in Krishna. In effetti Don Mansueto era già di nuovo Dio, era di nuovo Krishna e sorrideva dei suoi parrocchiani e al vitellino che in una stalla del paese stava nascendo e in cui l'anima di Lorenzo stava reincarnandosi.


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