domenica 25 settembre 2011

IL COPIONE


Atto primo. Scena 3
La scena è divisa in due parti. Ciascuna rappresenta l’interno di una casa (due stanze con porte e finestre). Uno spazio al centro deve dare l’idea della distanza tra le due abitazioni.
In scena vi sono due donne (Lucia e Mara). Una per ciascuna casa. Entrambe giovani.
La prima seduta sul divano compone un numero sulla tastiera del telefono, l’altra sta cercando un libro sullo scaffale.
Suona il telefono della seconda casa, la donna lascia i libri e prende il cordless dalla parete e ritorna verso la libreria parlando al telefono.
- pronto
- ciao Mara, sono Lucia
- ah ciao, che voce! Anche tu raffreddata?
- eh sì, che vuoi, con questo tempo matto, ma devo dirtelo subito, se no scoppio!
- cosa?
- una bomba!
- per carità, sembra già una questione di stato
- beh, senti un po’ questa e poi mi dirai: sai chi si è portata a letto Sonia?
- chi?
- Marco!
- cosa?
- non te l’aspettavi eh?
- no non ci credo, Marco è partito
- macchè era una finta, guarda li ho colti sul fatto io, non più di un’ora fa.
Mara riattacca. Appoggia il telefono. Gira per la stanza e si copre il volto con le mani.
Lucia cerca di continuare la conversazione.
- pronto? pronto?
In quel momento suona alla porta. Lucia apre entra una terza donna.
- Mara?
- ciao, come stai?
- Mara? ma non è possibile! ho appena parlato con te al telefono, a casa tua, o avevi messo la derivata sul cellulare?
- ma che derivata, guarda con me non hai proprio parlato, chissà chi avrai chiamato!
- oddio! chi sarà stata? tutti i nomi sembravano coincidere e le voci con il raffreddare.
- beh ....
Lucia scoppia a ridere. Anche l’altra donna ride.
- ma tu non sai cosa gli ho raccontato!
Ridono ancora.
La seconda stanza esce di scena (scorrendo su dei binari) con le voci che si attenuano, mentre ridono e proseguono a parlare sempre ridendo, con voci e risa a smorzare.
- ma credevi di parlare con me
- sì, sì con te
- beh racconta anche a me allora
Intanato nella prima stanza, rimasta sola in scena, Mara cammina, scuotendo la testa. E coprendosi ripetutamente il viso. Un’espressione incredula e severa al contempo. Poi riprende il cordless in mano e telefona. Il telefono risponde occupato.
Riprova, ripetutamente.
- porco… schifoso… e quella vipera – dice mentre cammina e si tormenta i capelli tra una chiamata e l’altra.
Intanto, al posto della casa appena uscita di scena, sull’altra metà del palco, entra in scena un ufficio con un uomo in piedi (Marco), che sta raccogliendo dei disegni tecnici ed è già vestito, come pronto per uscire. Altre persone sono sedute ai tavoli di lavoro.
Una sta parlando al telefono.
- sì …. sì …. Ok…..va bene, restiamo d’accordo così … grazie a lei a risentirci.
Riattacca, subito il telefono suona di nuovo. E’ Mara.
- Studio Newprojects, buongiorno
- buongiorno sono Mara Bentivoglio, c’è Marco
- sì un attimo solo …
Coprendo la cornetta con la mano
- Marco è per te: Mara
- ah sì, arrivo
Riappoggia i disegni, va alla scrivania e prende il telefono. Con voce allegra.
- ciao Mara
Lei molto secca:
- ciao, non sei partito?
- sto partendo adesso, è successo un gran casino
- ah sì non c’è dubbio
- guarda, roba da matti
- so tutto
- sai tutto? e come è possibile?
- Sonia è là con te?
- Sonia, no, perché dovrebbe …
- ah già, scommetto che oggi non l’hai neanche vista
- no, infatti, ma sarà una settimana che …
- ti odio, non ti voglio vedere mai più.
Mara riattacca.
- ma cosa stai dicendo, ma sei impazzita anche tu? Pronto, pronto? Maledizione, anche questa ci voleva.
Marco riattacca la cornetta. La persona dal tavolo con aria divertita mal dissimulata:
- non so cosa stia succedendo, ma se non ti sbrighi ad andare perdi l’aereo.
- sì, sì adesso vado.
Sospira. Raccoglie di nuovo i disegni stacca un cellulare dal carica batterie ed esce componendo un numero.
- ciao a tutti, arrivederci
Gli altri contraccambiano.
Marco esce. Il telefono di Mara suona, ma Mara non risponde. E’ seduta sul divano a fissare nel vuoto. Poi alza la cornetta e spegne il telefono.

Brava, proprio brava. Pensava Giovanni, argomentando nella sua mente con le più erudite considerazioni tecniche che la sua mente agitata dal ribollire degli ormoni e la sua conoscenza sommaria della recitazione riuscisse ad elaborare. Ma questo fervore professionale riusciva a mala pena a mettere in secondo piano il pensiero più profondo: bella, bellissima.
In effetti Elena Mattiazzi era assolutamente deliziosa e affascinante e in più aveva ancora dalla sua parte tutta la forza, la freschezza e la grazia della giovinezza. E nonostante la giovane età era già un’attrice affermata.
Certo per lei le cose erano state più facili, perché oltre alle generose doti datele da madre natura proveniva da una famiglia liberale e amante dell’arte, in cui la sua vocazione era stata apprezzata e sostenuta in tutti i modi. Lo stesso non si poteva dire per lui.
Giovanni viveva ancora in una duplice angoscia, pur essendo passato quasi un anno da quando aveva abbandonato la casa paterna. Da una parte per il litigio con il padre artigiano, che avrebbe ovviamente voluto, che il suo unico figlio lo affiancasse nella sua avviata attività di tappezziere per poi rilevare la ditta e non poteva quindi accettare questa pazzia della carriera teatrale.
Giovanni comprendeva il punto di vista del padre e ne era sinceramente addolorato, ma non era disposto, così pensava lui, a sprecare la propria vita per accontentare qualcuno che, magari da lì a pochi anni, se ne sarebbe andato da questo mondo, lasciandogli l’eredità insostenibile di un lavoro odioso.
D’altra parte Giovanni desiderava ardentemente una rivincita. Desiderava il successo, che avrebbe dimostrato a suo padre chi avesse ragione e avrebbe dato a lui quelle soddisfazioni che, se non altro la sua passione, meritava.
Quel momento però, semmai fosse stato scritto nel fato, era ancora lontano. Dopo un paio di apparizioni come semplice comparsa, questa era la prima vera parte da attore, seppur piccola. Due entrate in scena e una ventina di battute. La commedia non era un certo un classico, anzi, un autore nuovo, poco noto e con tutta probabilità destinato a restare per sempre marginale, se non ad essere un giorno del tutto dimenticato. Ma la compagnia non era male e il tour che si sarebbe aperto da lì ad un paio di mesi, li avrebbe portati nei più importanti teatri nazionali.
E poi c’era lei: Elena Mattiazzi. No fermo, calma. Non pensare troppo a lei: è così stupenda, meravigliosa, che il rischio di innamorarsi è davvero grande. E che speranze può mai avere un attorucolo spiantato alle prime armi, con una diva come lei? Pensa alla commedia Giovanni, la tua occasione è lì, sul palcoscenico lascia perdere i sogni irrealizzabili. Certo che è un bel sogno.
Ah se fosse vero! Ma io chi sono? Uno scimmione senza ragione, senza ragione, fuggiresti, fuggiresti - si ritrovò a cantare mentalmente Giovanni. Il paragone era in verità ingeneroso, perché Giovanni aveva un bel fisico longilineo, muscoloso, ma senza eccessi da culturista, e un viso dolce seppur non effeminato, occhi azzurri e capelli biondo oro, insomma aveva dei bei numeri, anche per piacere alle donne. Ma del resto nel cantare la vecchia canzone del Banco Giovanni non pensò assolutamente a questo paragone, era perfettamente conscio delle proprie doti fisiche e mentali, come dei propri difetti.
Una delle sue peculiarità era sicuramente, nel bene e nel male, la capacità di concentrarsi nei propri pensieri astraendosi dal mondo circostante e dagli eventi contingenti, quasi perso in una realtà a parte, ma proficua di concetti e decisioni importanti, anche nella vita pratica reale, una volta chiuso il ragionamento.
Così perso nei suoi pensieri, si accorse appena del proseguo delle prove e si ritrovò nel tangibile mondo materiale quando ormai la giornata lavorativa della compagnia volgeva al termine. Il regista diede lo stop. Elena si ritirò nel suo camerino seguita, come al solito da metà degli sguardi maschili presenti e anche tutti gli altri fecero fagotto e tornarono da soli o a gruppi ai propri alloggi.
Giovanni si era sistemato in città da più di 6 mesi. Aveva preso in affitto un piccolo monolocale arredato in periferia. Per mantenersi, date le scarse rendite di attore, prima di quest’ultimo ingaggio, aveva sperimentato un po’ tutte le forme di arte di strada: il mimo, la statua vivente, il clown, il musicista (per la precisione chitarra e voce).
Al di là degli introiti non sempre sufficienti, questo peregrinare tra le varie forme d’arte era stata una precisa scelta di Giovanni. La poliedricità per un attore è importante, se sei sconosciuto è vitale. Giovanni tornando verso casa in tram e rivedendo vari luoghi che erano stati teatro alle sue performance ripensava con soddisfazione ed orgoglio a quella scelta: ancora non ne aveva avuto beneficio, ma in futuro, in futuro …

Atto primo. Scena 6
La scena è interamente occupato da due stanze della casa di Mara: la sala e l’ingresso. In scena c’è solo Mara. Mara è in soggiorno e studia. Suona il campanello di casa. Mara alza la testa, fa un espressione scocciata e sbuffa, poi si alza e va ad aprire.
- ciao, posso entrare?
- certo prego. Di qua.
Entra un giovane (Gilberto) e i due passano in soggiorno.
- beh, siediti
- grazie
Lui si siede, lei resta in piedi di fronte a lui.
- scusami tanto, so che ci conosciamo, ma guarda proprio …
- no, no, scusami tu ci siamo visti solo una volta, io sono Gilberto
- Gilberto! Ah sì sì. Già ora ricordo, Gilberto: l’amico del verme
- sì, cioè no, l’amico di Marco che non …
- e ti ha mandato lui vero? nemmeno il coraggio di presentarsi di persona!
- ma non è qui, come ben sai è partito per l’Inghilterra e tu ti neghi al telefono
- o mi credi proprio scema anche tu!
Lei si gira e si allontana di alcuni passi, lui si alza e le si avvicina.
Improvvisamente Gilberto si inciampa, cade batte la testa.

No, no, non è possibile, questo non deve succedere. Giovanni cerca di riprendere il controllo. Sono troppo nervoso, è solo una prova, solo una prova.

Gilberto si rialza con l’aiuto di Mara. Si massaggia la fronte.
- scusa, scusa
- ma di cosa ti scusi? ti sei fatto male piuttosto?
- no, no, non è niente.

Giovanni si guarda intorno: vede il regista, tutti gli aiutanti di scena. Nessun movimento, le luci nel teatro non si riaccendono, né si abbassano quelle di scena.

- sei sicuro di star bene?

La scena non sembra essersi interrotta.

Lei gli tocca il viso si avvicina per controllare la fronte.
- io, io, non capisco
balbetta lui
- cosa non capisci? hei non farà mica parte del piano di Marco questa sceneggiata
replica lei abbozzando un sorriso amaro

Giovanni capisce che, per qualche strano motivo stanno ancora recitando, chissà come mai?

- mh, mi sembra che non sia grave, anche se ti sta già uscendo il bernoccolo

Lei gli è vicina, Giovanni non sa più cosa fare, è stordito, lei è là, profumata, dolcissima, si lascia trasportare dall’emozione, il cuore è impazzito, che ho da perdere?

Giovanni stringe all’improvviso Mara e la bacia sulla bocca

- Dio mio, ma sei matto cosa stai facendo!

Giovanni si scosta. Lei lo guarda sorpresa e dice
- no no, un momento ora sono io che non capisco. Sei con Marco o contro di lui?

- Ok basta per oggi, sono stanco - disse il regista - non era affatto male, ma ci sono un paio di cose da sistemare. Domani ricominciamo da questo punto.
Le luci si riaccesero.
- Signori buonasera, a domani.
Tutti si allontanarono, anche Elena. Solo Giovanni restò immobile sul palco. Stupito si chiedeva cosa significasse tutto ciò. Poi reagì, corse a prendere il copione, trovò la scena:

- Ma non è qui, come ben sai è partito per l’Inghilterra e tu ti neghi al telefono
- o mi credi proprio scema anche tu!
Lei si gira e si allontana di alcuni passi, lui si alza e le si avvicina.
Improvvisamente Gilberto si inciampa, cade batte testa.
Gilberto si rialza con l’aiuto di Mara. Si massaggia la fronte.
- scusa, scusa
- ma di cosa ti scusi? ti sei fatto male piuttosto?
- no, no, non è niente.
Gilberto si guarda intorno come stordito, come se avesse perso la memoria.
- sei sicuro di star bene?
Lei gli tocca il viso si avvicina per controllare la fronte.
- io io, non capisco
balbetta lui
- cosa non capisci? hei non farà mica parte del piano di Marco questa sceneggiata
replica lei ridendo, mm mi sembra che non sia grave, anche se ti sta già uscendo il bernoccolo
Gilberto all’improvviso stringe Mara e la bacia sulla bocca
Dopo alcuni secondi lei si scosta. Lei lo guarda sorpresa e dice:
- no no, un momento ora sono io che non capisco. Sei con Marco o contro di lui?
- Marco, chi è Marco?

Giovanni chiuse il copione. Era sconvolto, ciò che stava accadendo era assurdo, contrario ad ogni logica. Non potevano esserci spiegazioni. Era un sogno? Un’allucinazione? Cercò di calmarsi. Si analizzò: era sveglio, lucido, sano di mente.
Eppure il copione era cambiato, seguendo la sua involontaria improvvisazione.
Giovanni fermò un altro attore, che stava uscendo:
- Scusa hai il tuo copione?
- Sì certo.
- Me lo presti un attimo?
- Se vuoi, ma hai il tuo in mano!
- Sì, certo è che … è solo che l’ho rovinato, sì, ho versato del caffè su una pagina e non leggo più bene alcune parole.
- Sì, sì, va bene, tieni
Con aria ancora dubbiosa estrasse il copione dalla borsa e lo porse a Giovanni. Giovanni appariva in effetti decisamente alterato, come febbricitante o drogato. Trovò la pagina, lesse.
Non sono pazzo. Sospirò, sorrise al collega e gli restituì il copione:
- grazie
- figurati
E’ successo davvero, è successo davvero – si ripeteva dentro di sé.
Uscì dal teatro e prese il tram per tornare a casa. Si chiedeva il senso della cosa e non poteva trovare risposta. Poi pian piano cominciò a realizzare: che importanza ha il perché, che importa se sembra irreale? Sta accadendo ed è una cosa meravigliosa per me. Una grande occasione, anzi due grandi occasioni. Due sì, con la commedia e con Elena!
A casa, ancora agitatissimo, riaprì con ansia il copione:
- Marco, chi è Marco?
- Gilberto
- Gilberto, chi è Gilberto?
Lei si gira e guarda verso il pubblico, sorride
- non può essere vero. E’ troppo bello!
Riunisce le mani battendole con entusiasmo.
Lui si gratta la testa. Lei si gira di nuovo verso di lui.
- scusa, come hai detto che ti chiami?
- mi chiamo, mi chiamo …
- P per V?
- P per V uguale NRT
- grandioso, uaho, un caso da manuale. Come mi chiamo?
- Mara, ma scusa, scusa un attimo, sono confuso, io come mi chiamo?
- Gilberto, ti chiami Gilberto e hai appena perso la memoria, o meglio una parte di essa, scusa se te lo dico, ma per una studentessa di psicologia è un fatto meraviglioso.
- oh mio Dio.
- coraggio, il trauma non dovrebbe essere stato forte, si tratta quasi sicuramente di un fenomeno transitorio, ma è meglio che andiamo all’ospedale a controllare.
- Mara, tu sei la mia ragazza?
- no, no, almeno non ancora.
Ride prende Gilberto sottobraccio ed escono dalla scena.

Bene, molto bene. Pieno di speranza Giovanni lesse velocemente tutto il copione. La scena successiva tornava ad occuparsi di Marco e Giovanni la scorse velocemente.
La scena era ambientata all’ospedale, Gilberto ritrovava la memoria, confessava la sua infatuazione per Mara, ma anche l’innocenza di Marco a questo punto Mara se ne convinceva.
Poi Gilberto scompariva per tutto il secondo atto e solo alla fine della commedia ricompariva con poche battute come testimone di Marco alle nozze.
Non era male, no rispetto alla partitura originaria. Ma Giovanni già immaginò di aumentare ancora il suo ruolo, poteva diventare il protagonista maschile, perché no bastava improvvisare. Avrebbe funzionato ancora. Doveva solo fare una prova per esserne sicuro.
Fin quasi all’alba immaginò il nuovo tentativo di cambiamento, che avrebbe fatto il giorno dopo e poi la commedia intera, nella sua personale versione.

Sulla scena il regista chiese un bacio un po’ più appassionato:
- … e deve essere Mara che si allontana, non Gilberto. Ok?
ok
risposero ad una voce Elena e Giovanni. Giovanni esultò dentro di sé, meglio di così, e calcolò rapidamente il da farsi.
Elena era molto professionale, come sempre. Giovanni, non cessava di tenerla nel suo campo visivo, anche se ostentava indifferenza e per questo non la guardava troppo apertamente.
Iniziò la prova della scena e giunse finalmente il momento cruciale:

Gilberto all’improvviso stringe Mara e la bacia sulla bocca.

Giovanni baciò molto appassionatamente Mara, che da parte sua ricambiò il bacio senza ritrarre la lingua, anzi.

Dopo diversi secondi lei si scosta.

Significherà qualcosa il suo bacio o è solo recitazione, si domandò Giovanni in un lampo: no, no significa! Poi si riconcentrò sulla parte. Così proseguirono a recitare.

- coraggio, il trauma non dovrebbe essere stato forte, si tratta quasi sicuramente di un fenomeno transitorio, ma è meglio che andiamo all’ospedale a controllare.
- Mara, è terribile sono così confuso, meno male che ci sei tu, è una fortuna in un evento simile poter contare sulla propria ragazza?
- la propria ragazza?
- sì, la mia ragazza. – e con aria particolarmente sorpresa e sconsolata - non sei la mia ragazza?
- no, temo di no, almeno, almeno non ancora.
Mara ride, prende Gilberto sottobraccio ed escono dalla scena.

Le luci si alzarono:
- il bacio ora va bene, ma per il resto ieri avevate recitato meglio, soprattutto tu Giovanni, più spontaneo, ma si vede che sei stanco, hai dormito stanotte?
- Poco, per la verità, ma stasera rimedio.
- Ecco bravo.
Elena guardò Giovanni e gli fece l’occhiolino. Un’esplosione atomica nel cuore di Giovanni, un’espressione sfacciatamente colpevole e soddisfatta, poi l’occhiolino di risposta sopra un sorriso a 36 denti (non che ne avesse così tanti ovviamente, ma nel sorriso ce n’erano di più che nella bocca).
Sì, sì, c’è qualcosa, c'è qualcosa. E’ perfetto è tutto perfetto. Giovanni era giustamente euforico. Per scrupolo controllò il copione: era nuovamente cambiato in seguito alla sua piccola variazione.
Bene, bene ed ora torniamo a giocare sull’altro tavolo. L’altro tavolo ben inteso era quello su cui già immaginava di stendere Elena per una rovente scena d’amore, ma certo non nella finzione scenica.
Giovanni si avvicinò ad Elena per recitare la sua scena madre, il problema era che le battute le aveva scritte lui stesso e come autore l’autostima di Giovanni non era ancora così elevata. Per questo dentro di sé era agitatissimo.
Ha riso, sì, una risata spontanea, convinta. La battuta era stupida, ma originale e le era piaciuta. L’inizio era buono. Attento a non esagerare, non devi sembrare un buffone. Giovanni analizzava rapidissimamente le risposte di Elena e vi adattava le sue battute programmate. Stava diventando un grande improvvisatore. O almeno così pensava lui.
In realtà Elena non si era affatto montata la testa, nonostante la notorietà, né era chi sa quale raffinata pensatrice, ma soprattutto era molto ben disposta nei confronti di Giovanni ed era più che disposta a prendere positivamente le facezie, i complimenti e gli ammiccamenti. Quel miscuglio inconoscibile di sensazioni inconsce olfattive, epidermiche, forse spirituali che è ciò che veramente conta per la nascita di un amore giocavano a favore dei due giovani attori. Così in breve si instaurò un rapporto amichevole e fissarono addirittura un appuntamento per bere qualcosa insieme per la sera successiva:
- se hai voglia potremmo andare a bere qualcosa dopo le prove
- volentieri, ma stasera non posso, devo scappare, facciamo domani ti va?
- domani è un altro giorno – facendo finta di contare sulle dita – sì, ci conto
- a domani allora – scuotendo la testa divertita.

Ed è sempre domani e se il cielo verrà – canticchiava Giovanni tornando a casa - o non verrà, non verrà, non verrà , non verrà – cantò poi a piena voce, finché si accorse dell’espressione spaventata della vecchina seduta di fronte a lui sul tram.
- Verrà, verrà – le disse e le fece l’occhiolino. L’anziana signore, rincuorata dall’espressione amichevole di Giovanni non si lasciò sfuggire l’occasione e ben presto sommerse il malcapitato sotto un fiume di chiacchiere.

A casa Giovanni trangugiò rapidamente un paio di confezioni ampiamente scadute senza accorgersi non dico della data di scadenza, ma del contenuto delle buste. Fu quasi un caso se riuscì a scaldare ciò che andava mangiato caldo.
Non che avesse bisogno di scaldarsi. Al contrario il suo copro bruciava quasi quanto la sua mente. Perciò, dopo un breve sonno, in mutande e canottiera Giovanni si mise al lavoro. Prese un blocco per gli appunti ancora bianco, spaccò il copione in due alla fine della sua prima entrata in scena e si preparò a scrivere più e più volte Gilberto e Mara.
Lavorando tutta la notte e arrivando a scrivere sul retro delle buste usate, dopo aver scritto e stracciato tutta la carta bianca disponibile in casa, Giovanni riuscì a concludere la commedia con il matrimonio di Gilberto e Mara. Più che un copione quello che realizzò quella notte fu in effetti un canovaccio che si limitava ad abbozzare gli avvenimenti e le scene, ma tanto bastava. Il resto si sarebbe scritto in scena.

Giovanni incominciò a immaginarsi non solo attore, ma anche autore di successo. Al contempo però il dubbio che alla fine la sua commedia si rivelasse un fiasco si era affacciato alla sua mente e già aveva cominciato a disturbare con una certa insistenza i suoi sogni di gloria. Ma all’arrivo in teatro la realtà gli offrì una sorpresa ben più dura.
Il custode gli sbarrò il passo:
- mi spiace signore, ma l’ingresso è riservato agli artisti.
- cosa e io chi sono? Non mi riconosce.
- no davvero.
- oh santo cielo, beh meno male che c’è il regista, buon giorno capo, vuole spiegare a quest’uomo che sono anch’io della compagnia.
Il regista lo guardò, come si guarda un pazzo:
- se non se ne va, chiami la polizia – disse rivoltò al custode, che da parte sua sorrise beffardo e compiaciuto a Giovanni, o meglio al suo cadavere deambulante.
Giovanni infatti sentì franargli il mondo sotto i piedi, si era abituato all’idea che le cose più assurde possono realizzarsi, perciò questa volta non faticò a convincersi che anche questa follia stesse realmente accadendo.
Provò ancora per un po’ a salutare i colleghi che arrivavano. Poi si arrese. Non era più Gilberto, non aveva più parte in quella commedia. Si allontanò barcollando dal teatro.
Poi improvvisamente l’illuminazione: il copione! Aveva spezzato in due il copione. Partì di corsa verso casa. Quando fu completamente senza fiato e forse solo un attimo prima che il suo cuore esplodesse, si fermò. Si guardò intorno, mentre riprendeva fiato. Il copione, il copione!
Aveva voluto troppo e aveva perduto tutto, nessuno più lo riconosceva, sicuramente nemmeno Elena. Tutto, tutto, aveva perso proprio tutto. Che idiota? Ma come immaginare una cosa simile? che ne sapeva lui di come vanno le cose irrazionali, le stregonerie? Ed era poi vero? Era stata la rottura del copione a cambiare così radicalmente le cose?
Stava ritrovando un minimo di calma. Raggiunse la più vicina fermata del tram. Nel viaggio verso casa, si sforzò di non fare ulteriori congetture e si ritrovò a pensare alla faccia triste e severa di suo padre. Il rischio di risultare sconfitto era di nuovo reale, più che mai.
Entrò a casa lentamente, timoroso delle scoperte che poteva fare. Raccolse dal tavolo il primo pezzo del copione e lo sfogliò: bianco! Completamente bianco. Raccolse poi da terra il secondo pezzo: altrettanto bianco. Chiuse gli occhi, respirò profondamente, si sedette. Ed ora?
Riflettè a lungo, ma non era facile. Da una parte il tormento della situazione, dall’altra l’assurdità di tutta la vicenda.

Alla fine prese ago e filo e ricucì meticolosamente i due lembi. Li chiuse, incollò bene la rilegatura sul dorso. Poi provò a riaprire il copione. Niente da fare. La carta era divenuta come un blocco di marmo. Perché? Perché? E cosa significa?
Giovanni imprecava, pregava, girava come un carcerato, come un pazzo nella sua cella di manicomio.
Stremato crollò sul letto. Era febbricitante. Si addormentò. Si risvegliò, si alzò, tento di aprire nuovamente invano il copione. Tornò a dormire. Sognò di suicidarsi. Si sveglio ancora sull’orlo del deliro. Quando, con l’esaurirsi delle energie, ritrovò un minimo di lucidità e di equilibrio era ormai quasi sera. Fece una doccia caldissima. Mangiò un boccone con estrema fatica. E uscì.
Arrivò davanti al teatro che era ormai buio, le prove erano finite.
- oh eccolo qui, ah ma stai male, per questo non sei venuto oggi?
La voce di Elena fu un nuovo colpo di bacchetta magica. Si girò di scatto, non pensò a nulla, ma il cuore gli si riempì di gioia:
- Elena – sussurrò. Incominciò a riprendersi davvero:
- sì, non sto bene infatti, ma come vedi non ho voluto mancare al nostro appuntamento
Elena sorrise compiaciuta:
- bene bene vuol dire che non stai così male dunque?
- oh adesso che ti vedo sto molto meglio
- che dolce, hai ancora una brutta cera però, dai andiamo a bere qualcosa
Lo prese sotto braccio e lo portò nel bar all’angolo.
Parlarono un attimo della giornata di prove, poi lui le chiese di veder il copione. Lei un po’ stupita lo accontentò.
Le mani di Giovanni tremavano visibilmente ed Elena lo guardava preoccupata, ma Giovanni aveva occhi solo per il copione. Lo aprì, lo sfogliò rapidamente. In un attimo si rese conto che tutto era tornato nella versione originale.
Stranamente la cosa lo sollevò, basta stranezze. Si rilassò un altro po’. Ma non è un sogno, qualcosa è rimasto: io sono qui con Elena. Sorrise.
- Giovanni, sei davvero allucinato, ma cosa ti succede, hai ancora la febbre alta – lo toccò sulla fronte.
- no, no, sono freddo vero?
- sì, ma a cosa pensi?
- ma niente vedi è solo che questo pomeriggio, mentre dormivo, con la febbre, ho fatto uno strano sogno.
- dai racconta
- ho sognato che la scena sesta del primo atto era diversa, e nel sogno durante la scena ti baciavo
Elena, strizzò gli occhi:
- prima cadi, poi ti rialzi e mi baci.
- sì, era proprio così, ma come lo sai? Leggi nei miei sogni?
- ma non so, non so. Davvero non so nemmeno io, quando me l’hai detto ho avuto un deja vu, mi è sembrato di aver recitato davvero la scena con il bacio, forse l’ho sognato anch’io. E’ possibile?
- Si è possibile, perché no, il mondo è strano a volte, davvero strano. E com’era nel sogno il bacio?
- mh niente male - rise lei
- come questo – rispose subito Giovanni avvicinandosi.
Si baciarono a lungo.
- no questo è molto meglio
- sì, molto meglio.

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