domenica 3 dicembre 2023

Non torniamo mai nello stesso posto

Parlando con i miei studenti di Emanuele Severino, le intelligenti domande di uno di essi mi hanno permesso di fissare meglio con loro un punto che credo interessante anche come integrazione chiarificatrice  di quanto scrivevo in questo blog in un post pubblicato in data 3 febbraio 2019 (http://debolisegnali.blogspot.com/2019/02/la-vertigine-ontologica.html). Anche allora lo scritto faceva seguito ad alcune riflessioni che prendevano spunto da una mia discussione sulle teorie di Severino avuta, quella volta, con un collega insegnante, un filosofo professionista.

Quello che appare dell'essere è sempre un nuovo punto dello spazio-tempo, non torna mai lo stesso tempo, ma nemmeno lo stesso spazio. Ciò che appare segue una direttrice per cui i tempi sono conseguenti e gli spazi sono simili (a volte apparentemente - ma solo apparentemente mai a livello quantistico - identici), ma i singoli punti dello spazio-tempo sono sempre nuovi e dunque diversi.

Che la traiettoria dell'apparire sia monodirezionale e non torni mai indietro nello stesso posto è in realtà un dato esperienziale imperfetto legato al nostro brevissimo orizzonte di osservazione umano, che si limita alla storia dell'umanità, all'infinito non possiamo escludere un ritorno e nemmeno un eterno ritorno! Per quanto se l'essere è, come dovrebbe logicamente, infinito non vi è nessuna necessità di ritorno.

L'Essere è da sempre e pertanto non ha un perché, non può averlo, perché, se ci fosse, lo precederebbe e dunque ci sarebbe un primo dell'essere, un non essere da cui deriverebbe l'essere. 

L'apparire è un dato di fatto come la materia per i materialisti e Dio per i credenti. 

Non v'è in tutto ciò traccia di immanenza, che resta legata alla monodirezionalità ipotetica, ma resta legata anche alla comprensibilità dell'apparire stesso che non salta su linee spazio temporali alternative, non illuminate dalle scelte / eventi apparsi in ciò che soggettivamente possiamo chiamare precedenza e permette così alla nostra coscienza di essere effettivamente un flusso e non un turbine di frammenti slegati tra di loro non riducibili ad alcuna interpretazione. 

Questa seconda evenienza  chiaramente impedirebbe una qualsiasi forma di intelligenza e forse addirittura di coscienza e dunque, perlomeno in una lettura antropocentrica, impedirebbe l'apparire stesso e questo riporta anche la monodirezionalità ad un dato di fatto necessario che non richiede ulteriore spiegazione.

Dunque nessuna risposta nemmeno da una teoria così perfetta, come quella di Severino, sull'origine. Pertanto la triste conclusione del ragionamento è che non vi è nessuna risposta a nessuna domanda, ma certo questo non è una novità nel campo del pensiero filosofico.

Resta la bellezza della teoria, del flusso di coscienza (l'apparire) che disvela l'essere eterno e immutabile, come una pellicola con infiniti fotogrammi che viene illuminata nello schermo, un fotogramma alla volta, ma resta completa prima e dopo. E nella mia interpretazione la pellicola non è un nastro monodirezionale, ma una matrice con infinite dimensioni e potenzialmente infiniti schermi che non potremo mai vedere se non con la nostra (finita) fantasia.