sabato 28 gennaio 2017

DESIDERIO


Con moderata ossessività

ripeto gesti inutili

ricreo parole consunte,

nelle viscere dell’anima

nulla prende forma

nulla erompe in luce.

Il silenzio attorno

è solo muta assenza.

domenica 22 gennaio 2017

R.I.P.


Il riflesso elettrico
del cielo violaceo
sulla carne cinerea
e le vesti nere inamidate:
lasciatemi gustare
la morte
senza baci e saluti
lasciatemi al silenzio
e al pianto
che non sgorga
lasciatemi parlare
al mio cuore
lasciatemi al vento
che sferza i pensieri
più puri.

domenica 1 gennaio 2017

LA CASA DEL MAGO


C'era una volta un mago che si chiamava Lon e viveva in una casa che si chiamava Nead. Dove fosse questa casa non è facile a dirsi, perché la casa era protetta da una fitta rete di incantesimi che la rendeva per lo più invisibile o la faceva apparire sotto false sembianze. Di sicuro la casa si trovava vicino o forse proprio dentro un bosco di abeti al cui margine c'era un'ampia radura, raggiungibile per mezzo di una comoda strada e dotata di una piacevole area pic nic.
Un giorno di inizio primavera una famigliola si recò lì proprio per un pic nic. Erano da soli, perché, data la stagione, era un po' presto per mangiare all'aperto e le previsioni meteo non erano incoraggianti, ma in realtà era uscita una giornata proprio gradevole così si accomodarono su un tavolo ai margini del prato e mangiarono di gusto le buone cose che avevano preparato la sera prima e quelle che avevano cotto sulla griglia il giorno stesso. Parecchi uccellini cinguettavano tra i rami degli alberi e dei cespugli, ma uno in particolare li stava osservando attentamente.
Poi, dopo mangiato, mamma e papà furono presi, improvvisamente e alquanto insolitamente, da un grande torpore e si stesero su una coperta per fare un sonnellino ristoratore.
I due bambini per non disturbare i genitori, decisero di allontanarsi un po' andando ad esplorare la radura. La sorella maggiore Lilli aveva con sé il suo orsetto di peluche Giangiovanni e se lo teneva ben stretto per evitare i soliti scherzi del fratellino Mofi, che era un anno più giovane, ma non aveva mai amato i peluches e detestava in particolare Giangiovanni forse solo per gelosia, dato che la sorella gli dedicava molte attenzioni e molto tempo.
Arrivati al margine della radura un uccello nero con il becco giallo volò loro intorno alcune volte poi si fermò davanti a loro e saltellò verso il bosco. Si fermò tornò verso i bambini e poi saltellò di nuovo verso il bosco. I bambini incuriositi cominciarono a seguirlo ed imboccarono dietro di lui un sentiero che entrava nel bosco.
Man mano che si allontanavano dalla radura, il bosco si infittiva, ma i bimbi presi dal gioco di seguire l'uccellino non se ne avvidero. Ad un certo punto Mofi pestò una grossa vescia da cui uscì una strana nuvola di fumo violetto che profumava di cioccolato e avvolse completamente i bimbi.
Dopo qualche istante la nuvola si diradò e Lilli e Mofi si guardarono intorno stupefatti: erano su un ampio sentiero in mezzo ad un giardino con aiuole di fiori e di fronte a loro vi era un laghetto con un ponte che lo superava e dietro una grande casa.
Lilli per lo stupore lasciò cadere Giangiovanni a terra mentre Mofi impaurito le prendeva la mano.
I due si guardarono senza sapere cosa dire, quando sentirono una vocetta che diceva:
Che bello che è qui e che bella casa, andiamo a vedere cosa c'é lì dentro”.
Ed ecco una nuova sorpresa ancora più incredibile: davanti a loro saltellava Giangiovanni
Dai Lilli andiamo” riprese a dire il pupazzo.
Ma tu parli” balbettò Lilli.
Ma certo! Che novità è? Forse di solito però tu non mi badi o nemmeno mi senti, ma io parlo. Ma adesso andiamo alla casa. Dai Mofi”
Lilli non era affatto convinta e Mofi, che già non aveva simpatia per Giangiovanni, trovava la sua vocetta alquanto antipatica e il suo modo di saltellare continuamente gli dava già sui nervi.
I bambini si guardarono indietro, ma non c'era più traccia del posto in cui si trovavano poco prima ne si intravvedeva alcun sentiero per uscire da lì. Così da un lato non potevano tornare indietro, come avrebbero voluto, dall'altro erano anche curiosi di vedere il giardino e la casa e così si avviarono dietro a Giangiovanni che trotterellava svelto svelto.
Il giardino era molto bello, pieno di fiori e piante dai mille colori e dai dolci profumi, ma niente di conosciuto e niente che sembrasse neanche lontanamente commestibile.
Arrivarono così al portone della casa. Un enorme portone intarsiato. Giangiovanni lo spinse come niente fosse ed entrò. Lilli provò a spingere il portone e si accorse che era leggerissimo.
Strano,” pensò “un portone così grosso e così leggero.”
Al centro dell'atrio un'ampia scalinata portava ad un soppalco.
Per di qua” disse Giangiovanni e cominciò con dei ridicoli saltelli a salire. I bimbi lo seguirono in cima e videro che sul muro di fronte alle scale c'era l'entrata di uno scivolo.
Wow” disse Giangiovanni “ sembra proprio bello”
I bambini erano un po' perplessi, perché non si potava assolutamente capire dove portasse lo scivolo.
Vado avanti io” squittì il pupazzo e si infilò nel buco sparendo alla vista dei bimbi.
Yuhu” gridava mentre scendeva e poi dopo una breve pausa è bellissimo qua, ci sono tantissimi giochi, venite”.
Andiamo?” chiese Mofi.
Sì” rispose la sorella, che era curiosa ma sempre piuttosto titubante. Mofi entrò e sparì a sua volta nel tunnel.
Tutto a posto” urlò dentro il tubo la bimba.
Mofi voleva quasi dire “Sì, è bello ed è pieno di giochi”, ma gli seccava dare ragione a Giangiovanni. Così si limitò a dire
Sì, Vieni anche tu”.
Lilli entrò nello scivolo che attraversava la parete e poi proseguiva su un tubo sospeso per aria che si interrompeva bruscamente facendola cadere in una specie di grossa cesta che penzolava appesa attraverso quattro catene al soffitto. Il pavimento di sotto sembrava parecchio lontano come anche il soffitto, mentre lo scivolo era poco più sopra di loro, ma comunque fuori portata.
Mofi stava già giocando, Lilli invece non era affatto contenta di essere appesa là in alto e che Giangivanni si muovesse e parlasse continuava a renderla molto inquieta.
Giangivanni intanto si era messo buono in un angolo e Lilli decise di rilassarsi un po' giocando con il fratellino. Ben presto però si stufò e si sentiva pure stanca.
A me questo posto non piace per niente. Voglio andarmene disse Lilli.
Neanche a me piace per niente voglio andarmene “ripeté subito Mofi, che si sentiva anche lui molto stanco e che, come sempre al primo accenno di sonno, cominciava ad avere nostalgia della mamma.
Giangiovanni propose di riposarsi, fare un pisolino e insisteva nel dire che lì si stava benissimo, ma poiché i bimbi non gli davano più retta concluse:
Comunque è impossibile andarsene senza una scala per scendere”. Mofi prese il primo giocattolo che gli capitò tra le mani e lo gettò con rabbia giù di sotto.
Subito si sentì il rumore del giocattolo che si fracassava al suolo. Lilli si accorse che il suono era arrivato praticamente subito, troppo presto rispetto alla distanza che sembrava avere il pavimento. Guardò giù: il salto sembrava enorme. Prese allora un telefono di quelli con le ruote e gettò giù la cornetta. Subito questa arrivò a terra. Ma il telefono era ancora in mano a Lilli e il cavo era corto. “Sembra alto, ma non lo è” ridacchiò soddisfatta Lilli, quindi si arrampicò sul bordo del cestone e aiutò anche Mofi a salire.
No, no, non saltate è altissimo vi sfracellerete!” strillava Giangiovanni, ma i bimbi fecero un balzo e in un attimo furono a terra senza farsi assolutamente nulla. Il nido sembrava altissimo lassù, ma allungando le mani essi potevano toccarlo, mentre le loro braccia sembravano diventare lunghe decine di metri.
Che ridere” disse Mofi continuando a tirare su e giù il braccio a toccare il nido. Ma Lilli, che aveva deciso definitivamente che la situazione era davvero troppo assurda, che nulla quadrava in quel posto e che dunque ogni sorpresa era possibile, anche le più brutte, lo prese per mano e lo tirò dicendo:
Vieni dobbiamo andarcene subito di qua”.
Mofi, che voleva tornare da mamma e papà, non poteva essere più d'accordo e capiva anche che la sorella era preoccupata e sapeva che in queste cose lei finiva per avere sempre ragione.
In quel momento rispuntò fuori Giangiovanni
aspettatemi, aspettatemi. Fermiamoci un po’ qui a riposare”.
No” disse Lilli, che ormai detestava Giangiovanni più di quanto non lo odiasse Mofi
come hai fatto a scendere senza scala?” gli domandò ironica.
Potevi anche restare su” soggiunse Mofi.
Va beh allora andiamo” disse Giangiovanni conciliante e lì seguì.
Usciti dalla stanza si trovarono in un corridoio che a prima vista sembrava interminabile e incominciarono a percorrerlo. Ad un certo punto al posto del pavimento c'era solo acqua.
Di qui non si passa” sentenziò subito il pupazzo “torniamo indietro”
No, noi sappiamo nuotare perfettamente” ribattè Lilli, al che Mofi urlando “Evviva” si gettò a piedi pari nell'acqua. Invece che un tuffo in una piscina però risultò un salto in una pozzanghera profonda appena qualche millimetro, un velo d'acqua che arrivava a stento a bagnare le suole.
Uffa” sbottò Mofi “Addio bagno”.
Così avanzarono ancora, ma da lì a poco la luce cominciò ad affievolirsi e davanti a loro il corridoio diveniva del tutto tenebroso. Dietro di loro invece si vedeva la luce.
Torniamo indietro” ripetè speranzoso Giangiovanni, ma Mofi lo brandì come fosse un bastone da ciechi e disse alla sorella: “Andiamo”
Ottima idea” ridacchiò lei “Bravo!”
Giangiovanni emetteva dei piccoli rantoli, ma in breve avanzando a passo spedito e senza trovare ostacoli il corridoio tornò luminoso e Mofi lo mollò per terra. Dopo un altro po' di cammino iniziarono a sentire dei rumori strani come di belve ringhianti, ruggenti e soffianti con urla acute di uccelli e videro delle grosse belve stranissime e confuse che avanzavano verso di loro. I bambini rimasero impietriti, mentre Giangiovanni gridava
Scappiamo, scappiamo”.
Ma i bambini sul principio non riuscivano a muoversi per lo spavento poi incominciarono ad infastidirsi perché Giangiovanni oltre a ripetere in modo petulante di andare li tirava per le maglie.
Zitto tu” gli intimarono e fissarono coraggiosamente le assurde e spaventose creature che avevano di fronte.
Avanzano, avanzano, ma non arrivano mai” osservò Lilli.
E' un altro trucco?” buttò lì Mofi.
Di sicuro” rispose Lilli “Attacchiamo”.
Ancora una volta a Mofi non parse vero di accogliere la proposta della sorella e si slanciò in avanti urlando: “All'attacco!”
Ma appena raggiunsero le belve queste svanirono dissolvendosi nell'aria insieme ai loro versi.
I bambini proseguivano sempre più sicuri di sé, ma a quel punto il corridoio iniziò a girare, poi trovarono un bivio ed un altro ed un altro.
Il pupazzo li seguiva in silenzio, Ad un certo punto Lilli si fermò. Guardò Giangiovanni e disse:
Va avanti tu”
Va bene” il pupazzo obbedì e si incamminò prendendo il passaggio a sinisitra. Lilli lasciò cadere a terra una forcina per capelli e lo seguì. Poco dopo ritrovarono la forcina. Ripresero il cammino e Lilli intimò a Giangiovanni di prendere il passaggio a destra, ma dopo poco Lilli rivide la sua forcina.
Lo sapevo” sbottò, “siamo in un labirinto”.
Mofi sferrò un calcio al muro e lo sfondò aprendo un piccolo buco.
Qui è tutto finto”. Esclamò Lilli “Anche i muri” e incominciò a demolire le pareti a calci e pugni subito spalleggiata da Mofi. In breve le pareti del labirinto furono frantumate si ritrovarono nel solito corridoio.
Continuando ad avanzare trovarono una porta su un lato. La aprirono e videro cinque vecchietti che si muovevano lentissimamente, troppo lentamente. Lilli pensò che anche se erano vecchi non potevano muoversi così lentamente, dunque probabilmente era la stanza che li rendeva lenti, forse solo in apparenza, ma era meglio non rischiare entrando denltro.
Andiamo” disse Lilli.
L'avanzata lungo il corridoio era molto strana, perché con alcuni passi sembrava di fare decine di metri con altri pochi millimetri, a volte sembrava addirittura di tornare indietro.
Trovarono un'altra porta e sbirciando dentro videro cinque vecchietti che si muovevano freneticamente. “Troppo veloci” pensò Lilli, di nuovo la stanza era stregata meglio stare alla larga.
Avanti” disse Mofi. Lilli annuì e si incamminarono.
Dopo un po' dentro un'altra stanza cinque vecchietti erano come congelati. “Sono sempre gli stessi” sussurò Lilli. Li guardò sempre restando sulla soglia poi proseguirono fino ad incontrare un'altra porta di un'altra stanza dove i soliti vecchietti si muovevano finalmente normalmente, ma avevano un'espressione così triste che veniva voglia di scappare. “Andiamo” disse Giangiovanni. “Restiamo” ribatte Lilli e soggiunse rivolta a Mofi “Non ti muovere”. “Che facciamo fermi qui, entriamo” sibilò il pupazzo. “no” disse Lilli. “Volete restare fermi qui per sempre” quasi strillava Giangiovanni che stava evidentemente perdendo la pazienza. “Basta” intimò Lilli. “Mofi, pensaci tu a lui, come quella volta sul tavolo del giardino”. Mofi capì al volo, estrasse la fionda di tasca e veloce come un lampo colpì Giangiovanni in piena fronte. Il pupazzo cadde e Mofi gli saltò sopra con un piede e con la mano gli tirò la testa fino a staccarla. Si sentì un urlo tremendo e un lampo di luce li abbagliò per un attimo. Poi videro un uomo con la faccia torva che sibilò “Maledetti”. Intanto tutto intorno a loro ogni cosa era cambiata. Si trovavano dentro una specie di ampia capanna con dei paraventi sparsi qua e là e al posto dei cinque vecchietti c'erano cinque ragazzi che si stropicciavano gli occhi e si sgranchivano le articolazioni delle gambe e delle braccia sorridendo e dandosi pacche di gioia l'uno con l'altro.
Mentre ragazzi esultavano, il mago nel frattempo sembrava invecchiare ad ogni istante finché, prese le sembianze di un uccello grigio, si diede alla fuga. I ragazzi spiegarono che il mago si nutriva dell'energia dei giovani facendoli invecchiare per rimanere lui giovane per sempre.
Uscirono dalla capanna, i ragazzi montarono sulle loro biciclette che erano parcheggiate lì dietro e dopo aver ringraziato infinitamente Lilli e Mofi se ne andarono lungo il sentiero nel bosco.
Lilli e Mofi invece nella direzione opposta seguendo con lo sguardo il sentiero intravidero la radura, che subito raggiunsero. Riattraversarono di corsa il prato e tornarono al tavolo del pic nic accanto a cui i genitori proprio in quell'istante iniziavano a ridestarsi.
Era già sera e mamma e papà si stupirono molto nel vedere come fosse ormai l'imbrunire e chiesero ai figli cosa avessero fatto tutto quel tempo.
Abbiamo esplorato il bosco” risposero.
Ma non era pericoloso” chiese la mamma.
No c'era solo un uccello buffo, nero con il becco giallo, che ci svolazzava intorno, ma lo abbiamo scacciato via” risposero allegramente i bimbi.
Rqccolsero le loro cose per prepararsi a tornare a casa e appena prima di partire la madre si accorse della mancanza di Giangiovanni e chiese a Lilli dove fosse.
L’ho buttato”.
Buttato?” la madre era allibita
Sì Mofi l’aveva rotto, ma ha fatto bene, tanto non mi piaceva più, mi ero proprio stufata di lui, ormai sono grande”.
Mofi ridacchiava “Anch'io sono un po' grande adesso”.
I genitori erano sbalorditi, ma in fondo compiaciuti e divertiti delle dichiarazioni dei bimbi.
Poi salirono tutti in macchina e tornarono a casa.
E il mago? Lilli e Mofi non lo rividero mai più e neppure noi ne sappiamo nulla, ma probabilmente starà costruendo un'altra casa da qualche parte.