domenica 30 dicembre 2012

FRENESIA

Annuso nell’aria
l’odore umido
della follia
baloccandomi
con l’amore
e il sorriso astuto
del mio vicino
mentre macino
ineluttabile
frenetiche screziature
e vertiginosi voti.

domenica 23 dicembre 2012

METAMORFOSI


Quando Kuti si svegliò quel mattino, dapprima non si accorse di nulla. L'aria era fresca e profumata. I suoni familiari del bosco facevano da sottofondo al rumore della macina che preparava la farina di koga. Poi però sentì qualcosa. Si toccò. Il cuore sobbalzò, si chiuse la gola. Corse a guardarsi.
Ecco era arrivato. Il momento a cui si stava preparando fin da quando poteva ricordare qualcosa era ormai prossimo. Un pembe stava spuntando sulla fronte.
Kuti sapeva che entro un paio di giorni il pembe sarebbe uscito. Poi nel giro di 3 o 4 settimane ne sarebbero spuntati altri 3.
Sapeva che tra il momento della fuoriuscita del primo pembe e quello della fuoriuscita dell'ultimo doveva entrare nell'Amsha.
Sapeva che se non lo avesse fatto sarebbe iniziato il processo di retrocrescita: il ringiovanimento allo stesso ritmo della crescita vissuta fino ad allora. Avrebbe perso via via tutte le sue capacità fisiche e mentali fino a ridursi ad un feto. A quel punto il feto sarebbe stato deposto in una incubatrice: Lì sarebbe rimasto a ridursi fino a scomparire del tutto.
Kuti sapeva anche che non tutti quelli che entravano nell'Amsha ne uscivano. Nessuno sapeva che cosa ne era di loro.
Sapeva che l'Amsha risultava assolutamente diverso per ciascuno e in questo stava la difficoltà nel prepararsi ad affrontarlo. Era impossibile prevedere cosa avrebbe richiesto l'Amsha ad ognuno.
Per alcuni risultava molto semplice attraversarlo, per altri un rompicapo. Ad alcuni si presentava come uno spazio immateriale da attraversare solo con il pensiero, ad altri richiedeva sforzi fisici enormi. Nessuno sapeva se la mutevolezza dell'Amsha dipendesse dall'Amsha stesso o fosse determinata, involontariamente, da chi vi entrava.
Kuti conosceva però la propria determinazione ad entrare nell'Amsha e ad uscirvi.
La vita che l'aspettava fuori dall'Amsha durava 4 – 5 volte di più del periodo di retrocrescita, ma non era tanto questo. Kuti voleva diventare un adulto o un'adulta, giacchè come tutti i giovani della sua specie Kuti era assessuato, e fare di coneguenza tutte le esperienze che solo gli adulti potevano fare.
Kuti non voleva aspettare a lungo. Stava bene e il suo fisico non poteva certo rafforzarsi ulteriormente nel giro di pochi giorni. Aveva solo bisogno di guardarsi dentro per trovare la serenità insieme alla determinazione che già sapeva di avere.
Così appena spuntato il secondo pembe salutò i familiari e gli amici e senza esitazioni entrò.
Era buio. Allungò le braccia tutt'intorno senza riuscire a toccare nulla. Fece un respiro profondo e si mosse molto lentamente, facendo strisciare i piedi in avanti uno dopo l'altro con un braccio in avanti alla ricerca di ostacoli. Incominciò a vedere una leggera luminescenza davanti a sé. La studiò un attimo poi si incamminò sempre con circospezione, ma senza più strascicare i piedi. Nemmeno il braccio serviva più. Dopo un po' incominciò a vedere delle pareti. Era in una specie di grossa caverna sulle cui pareti vide aprirsi cunicoli innumerevoli che si spostavano in continuazione muovendosi in modo disordinato. L'ingresso era sparito, non c'era modo di tornare indietro. Non c'era modo di uscire se non attraverso i cunicoli. Non c'era differenza tra l'uno e l'altro, anche perché non solo la loro posizione ma anche le loro forme variavano in continuazione.
Doveva affidarsi al caso e tentare la sorte? Il dilemma non era da poco. Non sapeva nemmeno se quell'ambiente fosse stabile o se sarebbe poi mutato del tutto, né sapeva che autonomia si poteva avere in quel posto, senza cibo, né bevanda. La paura di fare la mossa sbagliata rischiava di risultare paralizzante, ma nemmeno agire a caso poteva essere una scelta conveniente in un momento così importante. Cosa fare? Chi poteva correre in suo aiuto? Questa era una domanda interessante. Nell'Amsha niente poteva essere dato per scontato, nemmeno di essere soli e senza aiuto. Kuti provò a chiedere:
- C'è qualcuno qui che può aiutarmi, c'è qualcuno che vuole aiutarmi?
Riprovò:
- Se ci sei ti prego, rispondimi, aiutami!
Un leggero bagliore fece tremare l'aria davanti a Kuti e si materializzò come per magia una fata. Una piccola fata come quelle che aveva visto nei suoi libri d'infanzia. Esile e luminosa con 2 alucce trasparenti che battevano rapidissime.
Kuti era dubbioso: esisteva veramente o era solo un'illusione, un inganno dell'Amsha per catturarlo per sempre?
- Mi guiderai fuori? - Chiese.
- Lo farò. - Rispose la fata.
La voce era dolce e l'espressione sorridente.
- Perché?
Perché me l'hai chiesto. E poi non ho altro da fare. Sarà bello stare per un po' in tua compagnia.
Sei simpatica. Io sono Kuti. Tu come ti chiami?
Mi chiamo Duara. Andiamo?
Kuti la seguì verso un cunicolo, questo si aprì, era molto luminoso, poi la luce crebbe ancora, divenne abbagliante, accecante. Allungò le mani e disse alla fata:
aiutami ancora, non riesco più a vederti, dammi la mano.
Sentì la stretta di una piccola mano calda. Si incamminò stringendola delicatamente. Camminava con sicurezza concentrandosi solo sulla mano che tirava quasi impercettibilmente. La luce progressivamente si abbassò. C'era una fitta nebbia.
Kuti sentì un torpore avvolgente, una sensazione di calore, continuava a muoversi, ma con difficoltà. Non era però una difficoltà fastidiosa, ma come un rallentamento naturale a cui si adeguava tranquillamente. Anche la sua mente si placava. I pensieri evaporavano. Kuti rimase sospeso in uno stato indescrivibile. Ad un certo punto si ridestò e si accorse di non sentire più la mano della fata. Fu preso dal terrore:
ti ho persa, dove sei Duara? cosa succede? Urlò.
Duara rispose con voce placida:
tranquilla mia cara, è già successo tutto stai per uscire
Mia cara! Dunque era una femmina.
Fece qualche passo in avanti.
La nebbia d'improvvisò si diradò. E vide dei volti familiari che la fissavano. Sentì le loro urla di gioia e fu travolta dagli abbracci.
Era curiosa di vedersi. Ma dagli sguardi dei maschi che la guardavano capì subito di essere diventata una kimanzi. Dunque non aveva che da scegliere, chi prendersi come compagno.
Era un ottimo inizio.

domenica 16 dicembre 2012

CINQUE PAIA DI SCARPE DI FERRO


Un giorno in un villaggio ai confini del regno in casa del fabbro nacque un bambino bello e vispo. Qualche anno dopo nello stesso villaggio in casa del calzolaio nacque una bimba bella e vispa. Entrambi crebbero ed il ragazzo divenne un giovane prestante e di rara intelligenza e furbizia, mente la bimba fiorì in una ragazza intelligente, ma soprattutto incredibilmente bella. Lei stessa guardando la sua immagine riflessa nel bacile, nel lavatoio, nelle fontane, nel lago e in ogni altro specchio naturale non poteva che constatare di essere splendidamente affascinante. Ascoltando i discorsi delle comari finì col persuadersi che, data la sua bellezza, solo un principe era degno di averla in sposa. Andò dunque dal capo villaggio ad informarsi se e come la cosa fosse possibile.
“Oh la cosa è ben regolamentata dalla legge” le rispose e consultando il grosso libro delle leggi del regno le spiegò che le ragazze che volevano ambire alla mano del principe dovevano procurarsi 5 paia di scarpe di ferro e mettersi in cammino con il primo paio ai piedi verso la prima sede ducale e lì seguire le istruzioni per il lungo viaggio attraverso il quale, consumando le 5 paia di scarpe di ferro e superando 5 prove, sarebbe giunta al cospetto del principe che avrebbe deciso se prenderla in moglie.
La ragazza non si spaventò, ma corse subito dal padre chiedendogli di confezionarle le scarpe. Ma il padre rispose: “Figlia mia, sarei ben lieto che tu potessi diventare una principessa, ma io lavoro il cuoio, non il ferro, devi andare dal fabbro e chiedere a lui di prepararti simile scarpe”. La ragazza corse dal fabbro, che acconsentì di prepararle le scarpe e le chiese solo in cambio di ricordarsi del suo villaggio natale quando sarebbe stata alla reggia, perché il terreno era generoso e la gente era laboriosa, ma le tasse reali erano così esose che portavano via quasi tutto lasciando gli abitanti sulla soglia dell'indigenza. Del resto i guerrieri del regno vicino spesso sconfinavano e senza l'aiuto delle truppe reali non c'era modo di difendersi. Il fabbro quindi istruì il figlio su come costruire le scarpe e lasciò a lui il lavoro. Il ragazzo mise moltissimo tempo a misurare i piedi della ragazza e a provare vari stampi. La ragazza si rese conto che il giovane fabbro la stava tirando un po' per le lunghe, ma pensando a quanta strada doveva fare giudicò che non sarebbe stato male avere delle scarpe che le calzavano bene, inoltre il giovane era simpatico ed era piacevole chiacchierare con lui e nemmeno le dispiaceva fermarsi ancora un po' a casa prima di abbandonarla per sempre. Infine dopo qualche mese le scarpe furono pronte. Nel consegnarle il ragazzo le diede anche un minuscolo sacchettino di sabbia rossa pregandola di portarlo con sé come porta fortuna. Ora bisogna sapere che il giovane per aiutare la ragazza di cui si era segretamente innamorato, come del resto tutti i giovani del paese, le aveva messo nel quinto paio di scarpe della sabbia rossa perché le suole si consumassero più velocemente.
Con una veste lunga ed un cappuccio che le copriva i capelli e le nascondeva il volto ed una bisaccia in spalla con il primo paio di scarpe ai piedi, salutò i genitori e partì.
La ragazza si incamminò, uscì dal villaggio, dalla marca e sempre camminando e facendo vari lavori nei villaggi che attraversava per guadagnarsi un po' di vitto e di alloggio si avviò in direzione del capoluogo del primo ducato.
Lì si presentò ai funzionari, che, dopo aver apprezzato la sua bellezza, consultarono i loro regolamenti, controllarono i 5 paia di scarpe, le raccomandarono di tenere con sé i resti di ogni paio di cui avesse consumato le suole e poi le diedero una mappa con il tracciato del suo viaggio fino alla capitale del regno.
La ragazza partì e attraversò il ducato, poi una contea e un'altra ancora. Giunse ai piedi del monte Santo sulla cui cime si ergeva un santuario che la ragazza doveva raggiungere. Una lunghissima scalinata si inerpicava a perdita d'occhio sulla ripida montagna. La ragazza era ormai allenata a camminare, ma quella scalinata era veramente ripida e sembrava senza fine. Quando però si accorse che il primo paio di scarpe si era ormai consumato scoprì nuove energie che la fecero giungere in cima quasi senza fatica. Lì ebbe dai sacerdoti la reliquia che nelle carte avute dai funzionari le veniva richiesto di portare nella capitale.
Scesa dal monte camminò ancora per tantissimo tempo fino a giungere sulle sponde di un grande lago. Il secondo paio di scarpe era ormai consumato. Si presentò all'ufficio dei funzionari che le indicarono un'isolotto, Doveva raggiungerlo a nuoto, raccogliere un raro fiore che solo lì fioriva e ritornare a prendere il suo sacco e le sue scarpe prima di proseguire il viaggio. L'acqua era molto fredda e la corrente era forte, ma la ragazza riuscì a portare a termine anche questa prova.
Camminò,camminò e camminò ancora. Il terzo paio di scarpe si consumò e giunse nel capoluogo indicato dalla mappa. Lì i funzionari reali la condussero sul bordo di una palude e le dissero di attraversarla. Dall'altra parte avrebbe trovato degli altri funzionari ad attenderla.
La ragazza non era affatto contenta perché per camminare nella palude dovette togliersi le scarpe, così quel cammino non risultava utile per consumarle. Nella palude incontrò serpenti e sanguisughe, zanzare e pantegane, tratti in cui affondava nel fango fino alle ginocchia e tratti di vegetazione così fitta che dovette farsi largo menando fendenti con le scarpe di ferro.
Dormiva tra i rovi per non essere attaccata dalle fiere notturne e con bastoni appuntiti catturava i pesci che mangiava crudi, perché in quell'ambiente non c'era nessuna possibilità di accendere un fuoco, giacché tutto era intriso d'acqua, Alla fine arrivò al cospetto dei funzionari sull'altro lato dell'immensa palude.
Quelli le consegnarono un pesantissimo zaino e la invitarono a proseguire dopo averle spiegato come ricavare acqua dai cactus. Infatti dopo non molti giorni la steppa si tramutò in un vero e proprio deserto sassoso. Per fortuna non era un deserto caldo, ma attraversarlo con quell'enorme peso sulla schiena e avendo come cibo e come bevanda solo il cuore dei cactus fu un'impresa veramente spossante.
Ma alla fine anche quella prova giunse alla fine. Il lato positivo era che le scarpe si erano consumate più velocemente del solito.
Giunta alla città segnata sulla sua mappa si presentò ai funzionari locali.
Questi la portarono dal duca che l'ospitò nel suo palazzo offrendole sontuosi banchetti e facendola dormire in un letto morbidissimo. Fece bagni profumati e passeggiò in giardini incantevoli. Tutta la servitù del duca la seguiva e non le faceva mancare nulla. Si riposò così per 5 giorni. Poi dovette posare per un dipinto che fu subito inviato alla corte.
Infine fu sottoposta ad un'accurata visita medica e fu invitata a proseguire il viaggio.
Dopo 7 giorni di cammino il 4 paio di scarpe finì di consumarsi rimanendo come i precedenti senza suole. Tutta allegra la ragazza calzò il 5 paio di scarpe e ripartì. La strada era ancora lunga e attraversava 7 contee e 2 ducati prima di giungere nella capitale. Ma dopo 3 giorni di cammino, la sera nel togliersi le scarpe la ragazza si accorse che la suola era già quasi completamente consumata. Come era possibile? La mattina dopo con il favore della luce del sole, era uno splendido giorno di primavera, esaminò con attenzione le suole. Si accorse allora che il metallo aveva uno strano riflesso rossiccio. Guardò ancora e vide dei minuscoli puntini rossi. Dopo un attimo, prese il sacchettino portafortuna e lo aprì. La sabbia rossa era sottilissima e aveva l'identico colore dei granelli nella scarpa. Capì allora che il giovane fabbro aveva escogitato quel trucco per risparmiarle la fatica dell'ultimo tratto di strada. Grata si rimise in cammino. Dopo altri tre giorni le suole erano completamente consumate e la ragazza mise nella saccoccia il resto delle scarpe insieme agli altri 4 paia e si avviò a piedi nudi. Dopo tutto quel camminare nelle scarpe di ferro i suoi piedi erano divenuti più duri del cuoio. Passati altre 3 giorni vide passare sulla strada una strana pattuglia di cavalieri. Dei 4 cavalieri infatti 2 portavano le divise del regno, ma 2 quelle del regno nemico che ben conosceva perché stava oltre il suo villaggio natale. Dopo un po' vide arrivare molti soldati, davanti c'erano alcuni soldati del regno, ma dietro solo soldati nemici. Poi passò una grande e ricchissima carrozza con le insegne del nemico e poi ancora soldati. Poi arrivarono diversi carri. Sul fondo dell'ultimo carro 2 paggi dondolavano le gambe dal bordo. “Vuoi un passaggio?” gridò uno dei 2. In un lampo la ragazza comprese che un simile corteo poteva andare solo alla capitale e questo le avrebbe risparmiato molti giorni di cammino e dato che le scarpe erano già consumate poteva fare almeno una giornata di viaggio comodamente seduta . Così allungò la mano e si fece issare sul carro. Quando la videro da vicino i paggi restarono estasiati per la bellezza del suo volto.
Erano dei servi del re del regno nemico che andava in visita al re del regno.
Strinsero presto amicizia e le fecero indossare dei vesti da paggio, ma le fasciaronola testa perché non si vedesse il volto e dissero che il loro amico si era scottato con l'acqua bollente. Così la ragazza potè continuare tutto il viaggio con la comitiva reale, aveva infatti pensato che una volta nella capitale avrebbe aspettato fingendosi un paggio per tutto il tempo necessario ad arrivare a piedi e sarebbe così comparsa al momento giusto a corte.
Ma i suoi nuovi amici quando conobbero la sua storia la misero in guardia dalla cattiveria dei nobili e dei regnanti e si domandavano sospettosi perché fosse necessaria tutta quella fatica per poter sposare un principe ad una ragazza così bella che anche per l'imperatore dell'universo, se mai fosse esistito, sarebbe stato una gioia averla in sposa.
Così una volta a corte la ragazza si intrufolò di nascosto nella residenza del principe per poterlo vedere. Se l'avessero scoperta avrebbe detto di essersi persa e con un calcio l'avrebbero rispedita tra i paggi del re straniero.
Ma tutto andò bene. Vide il principe e ne restò molto delusa: era piccolo grasso e antipatico. Lo seguì senza farsi notare fino alla stanza del trono dove ascoltò un dialogo tra lui e i suoi genitori, il re e la regina che gli fece passare completamente la voglia di divenire principessa.
I sovrani spiegarono infatti al figlio, riluttante a sposare una popolana, ma soprattutto una donna, che compiendo quell'incredibile viaggio e superando le prove aveva dimostrato di essere molto forte, che non aveva nulla da temere. La ragazza era bellissima, oltre ogni normale speranza, ed era assolutamente fortissima e sana e di questo sangue buono aveva bisogno la loro casata, infiacchita da matrimonio tra nobili per ritemprarsi e generare una progenie in grado di mantenere il potere.
Per questo esisteva la legge delle 5 paia di scarpe di ferro. Ad ogni modo la popolana non sapeva nulla dell'etichetta e della vita di corte e sarebbe stata facile sottometterla educandola alle buone maniere e all'obbedienza al suo sposo. Infine una volta generati i discendenti il suo ruolo si sarebbe esaurito e se al principe fosse piaciuto avrebbe potuto farla recludere in una torre e prendersi come compagne tutte le cortigiane che voleva.
Il principe se ne andò soddisfatto, mentre la ragazza impietrita restò nel suo nascondiglio.
Ebbe così modo di assistere anche all'incontro tra i 2 sovrani. I 2 re erano chiaramente amici e il re nemico raccontò che il suo popolo era sempre più irrequieto e per non dover diminuire le tasse l'unica soluzione era combattere una bella guerra. Il re della ragazza promise di radunare subito il suo esercito e di attaccarlo, avrebbe distrutto un po' di villaggi e poi si sarebbe ritirato come al solito.
La ragazza era furiosa, andò dai suoi amici paggi e si fece dare un'armatura leggera ed un cavallo veloce e insieme ai 2 amici anch'essi armati e a cavallo, precedette l'esercito del re parlando a tutti i capi dei villaggi sulla strada fino alla frontiera.
Così lungo tutta la lunghissima strada da ogni villaggio squadre di uomini e di giovani si univano come volontari all'esercito. I generali erano perplessi, ma se i villici volevano morire al posto dei loro soldati andava benissimo. Quando arrivarono nel territorio nemico l'esercito era immenso. La ragazza e i suoi amici parlarono ancora ai capi dei villaggi e il popolo si sollevò a appoggiò l'esercito nemico. I generali confusi dagli eventi cedettero alle insistenze delle truppe e marcarono fino alla capitale ribaltando il regno. Poi tornarono in patria e con un esercito composto da molti cittadini dei 2 regni deposero anche i propri regnanti.
La ragazza tornò al suo villaggio sposò il giovane fabbro e insieme andarono nella capitale dove lei fu eletta presidente della nuova repubblica unita mentre il marito e i 2 amici ex paggi divennero ministri del governo. E vissero felici e contenti insieme a tutto il popolo.

domenica 9 dicembre 2012

OMBRAVELOCE


Melcheb il terremoto. Melcheb il ciclone. Melcheb l’inesauribile. Così fin da piccolo avevano chiamato Melcheb, un bimbo dalla rara vivacià ed energia.
Poi un giorno, il nonno, vedendolo giocare a rincorrere la sua ombra aveva esclamato: “Persino la sua ombra fatica a stargli dietro”. E da lì era nato il soprannome che aveva rapidamente sbaragliato tutti gli altri: Ombraveloce.
In realtà l’ombra di Melcheb, come tutte le ombre era molto solidale con il suo padrone e non se ne separava mai. Per quanto Obraveloce tenesse fede al nome, la sua ombra era sempre lì pronta a saltare, tuffarsi, correre e ruzzolare dietro o davanti o magari in fianco a lui.
Melcheb Ombraveloce, sempre con l’argento vivo addosso, crebbe e divenne un ragazzetto forte e sano e pieno di idee.
Allegro, vivace e sempre impegnato in mille attività, Ombraveloce divenne presto molto popolare e di fatto era il capo di tutta la folta schiera di ragazzetti del quartiere. Combinavano certo qualche marachella, ma erano ben voluti da tutti.
Un giorno però Ombraveloce conobbe dei ragazzi più grandi che lo convinsero a provare certe pillole colorate. Mangiata la pillola Melcheb si sentì privo di forze, ma immagine strane e buffissime, musiche incredibili, colori iridescenti, sensazioni bizzarre e fantastiche, mai provate prima, si affollarono nella sua mente.
Melcheb Ombraveloce, provata la droga, ne divenne presto avido. Dopo la prima però, nessuno era più disposto a regalargli altre pillole, ma esigeva soldi, soldi, tanti soldi.
Così Melcheb, abbandonò i vecchi amici e con il favore delle tenebre cominciò a rubare nei magazzini per racimolare i soldi per la droga.
Una notte la sua ombra proiettata da un lampione fu vista da un vigilantes ed Ombraveloce dovette ricorrere a tutta la sua velocità e agilità per eclissarsi nei vicoli, sfuggendo alla cattura.
Maledisse allora la sua ombra, per il rischio che gli aveva fatto correre. E questa senza pensarci su due volte prese e se ne andò. Melcheb rimase di sasso, ma non pensò a rincorrerla, come faceva da bambino: “Meglio così – pensò – senza ombra correrò meno rischi”.
Ma quando il giorno dopo passeggiando per la strada la gente si accorse che il suo corpo non proiettava nessuna ombra, fu scambiato per un fantasma. E tutti fuggirono atterriti.
Così Melcheb si ridusse a vivere da solo, muovendosi solo la notte, dove le tenebre erano più fitte.
Dopo un po’ però si sentì triste, incominciò a stufarsi delle visioni della droga e a rimpiangere le mille attività e i giochi che era solito fare di giorno con i suoi vecchi compagni.
Melcheb tornò allora dove l’ombra l’aveva abbandonato e piangendo la supplicò di tornare. E così fu.
Melcheb ritornò ad essere di nuovo l’Ombraveloce che tutti conoscevano e anzi divenne un paladino dei deboli sempre pronto ad aiutare, a fare del bene e a mettere in guardia i ragazzi dal pericolo della droga.

domenica 2 dicembre 2012

IL FORMICAIO

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C’era una volta un brav’uomo che aveva una casetta, una stalla, dei campi e molti amici.
Una sera uno di questi volle fargli uno scherzo e, indossata una maschera, girò quatto quatto dietro la stalla.
L’uomo però lo sentì e gridò: “Chi è là?” L’amico non rispose. Allora l'uomo si acquattò dietro la porta con un bastone in mano e aspettò.
D’improvviso l’amico mascherato entrò urlando nella stalla. L’uomo spaventatissimo sferrò una bastonata e lo colpì in piena testa. L’amico stramazzò a terra. L’uomo lo guardò e vide che l’orribile volto era soltanto una maschera. Tutto preoccupato tolse la maschera e scoprì il suo amico con la testa rotta.
Disperato l’uomo, chiamò aiuto. Purtroppo però l’amico era già morto. Tutti dissero che l’uomo non aveva nessuna colpa per quell’incidente e cercavano di consolarlo. Ma l’uomo non sapeva rassegnarsi.
Abbandonò tutto e fuggì sul monte. Trovò una grotta in cui rifugiarsi e decise di mangiare solo frutta, bacche, erbe e funghi. Giurò a sé stesso che mai più avrebbe ucciso neppure un animale.
Così cominciò a condurre una dura vita da eremita, senza più uccidere né un’animale né una pianta, perché anche di quelle raccoglieva solo alcune parti, soprattutto i frutti, badando bene di non danneggiare né la pianta né i semi.
Un giorno mentre dormiva delle formiche fecero il nido nel suo cappello. L’uomo per non rovinare il formicaio decise di non togliersi più il cappello. E così fece.
L’uomo conduceva la sua misera vita e intanto il formicaio cresceva sulla sua testa. Le formiche andavano e venivano sul suo corpo in lunghe file. L’uomo poi stava ben attento quando camminava di non schiacciare i piccoli insetti che si muovevano tutt’intorno a lui.
Ad un certo punto il formicaio divenne così grosso e pesante che l’uomo cominciò a far fatica a muoversi. Il suo collo e la sua schiena erano piegate dal peso del formicaio, ma l’uomo per tener fede al suo giuramento, non toccò il formicaio.
Infine l’uomo, visto il peso che aveva sulla testa, rinunciò del tutto a muoversi e resto fermò nella sua grotta schiacciato dal formicaio.
Già malnutrito che era in breve tempo cominciò a indebolirsi e stava per morire. Allora le formiche abbandonarono il nido, lo smantellarono e lo ricostruirono per terra nella grotta, poi andarono a raccogliere dei frutti e imboccarono l’uomo finché si riprese.
L’uomo visto ciò che le formiche avevano fatto per lui si sentì amato e perdonato anche per il suo involontario crimine di molti anni prima.
Ringraziò le formiche e ridiscese al paese. Lì fu accolto come un vecchio amico e presto per la sua saggezza e bontà divenne un punto di riferimento per tutti.